Il disegno originario dell’autonomia: scuola e territorio
di Fiorella Farinelli
Tra secessionismo e statalismo. Quando alla forza politica con i maggiori consensi nel Paese appare naturale che le Regioni più ricche assicurino ai giovani un’offerta formativa migliore di quella delle Regioni più povere, diventa indispensabile tornare all’ABC: alle ragioni fondamentali non solo di un diritto allo studio reso uguale per tutti dalla rimozione degli ostacoli voluta dalla Costituzione, ma di un’educazione che fin dai primi anni di vita faccia crescere in ogni cittadino, dovunque nato o residente, la convinzione e il sentimento che Mestre e Sondrio sono ‘casa sua’ proprio come lo sono Caserta e Matera. Si tratta non di solidarietà con chi sta peggio ma di costruzione della cittadinanza, di sviluppo e di qualità civile dell’intero Paese.
Lo si sta facendo? Un po’ sì, ma non nel migliore dei modi. Se nel mondo della scuola, nell’opinione pubblica, nei sindacati si sta consolidando un’opposizione al rafforzamento dell’autonomia regionale in versione lombardoveneta, si osservano anche reazioni sbilanciate sull’idea dello Stato come unico garante dell’eguaglianza e dell’equità sociale. Lo Stato, non la Repubblica del nuovo Titolo V.
Ma restare schiacciati tra secessionismo dei ricchi e statalismo non sarebbe una buona cosa. Non lo sarebbe neppure la tentazione, che pure affiora tra chi opera nella scuola, di arroccarsi nella riserva indiana della difesa dell’autonomia scolastica e di un suo rafforzamento. Perché si smarrirebbe definitivamente il filo, già aggrovigliato
e consunto, dell’originario disegno sotteso all’introduzione dell’autonomia scolastica. Che, bisogna ricordarlo, è nata come una delle facce di una ben più ampia strategia volta a un trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni, agli Enti locali, ad altre autonomie istituzionali e sociali nella logica della sussidiarietà, della collaborazione interistituzionale, dell’apertura a bisogni, domande, soggetti delle comunità locali.