Editoriale
Rita Cutini
La rivista Welfare Oggi, con il n. 1 del 2020, cambia. Cambia la direzione, cambiano i contenuti e il modo di presentarli.
È possibile, oggi, sui temi del sociale una riflessione rinnovata? Pacata e al tempo stesso “scomoda” e controcorrente? Approfondita e ben argomentata ma non “noiosa” e che coglie il punto? Non paludata da tecnicismi ma non per questo approssimativa nel linguaggio e nei contenuti? Non è facile e potrebbe sembrare uno sforzo velleitario in questo momento in cui si parla tanto di welfare e se ne parla tanto male. I temi sociali sono sfruttati, tirati da una parte e dall’altra, improvvisati sono i dibattiti e forte la sensazione che dietro tanti “programmi nuovi” si nascondano sinistri arnesi vecchi di archeologia assistenziale.
Welfare Oggi accetta questa nuova sfida con la convinzione che i temi sociali non siano residuali ma che da essi, al contrario, sia necessario ripartire per un’idea di società: aperta, inclusiva, migliore. Accanto ad approfondimenti e ricerche utili per capire, sarà possibile trovare opinioni non allineate, pensieri divergenti, esperienze che fanno riflettere. È necessario rimettere in moto un pensiero, una visione sui temi sociali. È un processo che va sollecitato o che forse è già in atto e che ha bisogno di essere raccontato e che ha due direzioni: “dall’alto”, le politiche pubbliche, ma “anche dal basso”, dai territori, dai mondi del sociale, dagli operatori. Tutto questo vorremmo trovasse spazio nelle pagine della rivista. Guido Calogero, filosofo che ha segnato il pensiero del ’900, e fondatore e direttore della scuola di servizio sociale CEPAS di Roma, nella “Scuola dell’uomo” del 1939 citava Hegel: “Niente di grande al mondo è stato fatto senza passione”. Vorremmo mettere nella rivista almeno un po’ del suo insegnamento e aggiungere un po’ di “passione” hegeliana e di impegno civile al dibattito pubblico. Una foto-storia talvolta racconta un tema in modo più esatto e scientifico di un articolo con mille grafici e citazioni. Il lavoro tenace di un gruppo di operatori di Caulonia Calabra, anche se fatto di documenti e di aridi organigrammi, può essere più appassionante di un’opera narrativa.