Ambiente e frontiere: spunti di riflessione sugli artt. 18 e 20 del Patto globale per l’ambiente
Claudia Sartoretti
Il 24 giugno 2017, il Governo francese, sotto la guida del Presidente della Corte Costituzionale ed ex Primo Ministro Laurent Fabius, ha presentato presso l’Università Sorbonne una proposta di testo per un Patto Globale per l’Ambiente (Global Pact for the Environment) che scaturisce dalle riflessioni di 80 esperti legali (le club de juristes) provenienti da oltre 40 Paesi di tutto il mondo. L’obiettivo dell’iniziativa francese è stato quello di offrire una proposta per sistematizzare il diritto ambientale internazionale, oggi ancora molto frammentato e distribuito su vari e differenti accordi, per lo più settoriali – accordo per il clima, per i rifiuti, per la biodiversità e così via –, e per contribuire al suo rafforzamento come “diritto umano di terza generazione”. La proposta di un Patto Globale per l’Ambiente ha mirato infatti a raccogliere e ampliare i principi fondamentali del diritto ambientale internazionale, allo scopo di creare un trattato vincolante per le parti contraenti capace di rafforzare la tutela ambientale globale e superare, al tempo stesso, l’estrema frammentarietà e settorialità della pregressa legislazione ambientale attraverso una sorta di “umbrella agreement”.
In tal senso, il testo elaborato dal club si colloca in continuità con accordi internazionali stipulati in precedenza quali la Dichiarazione di Rio, Rio + 20, l’Agenda 2030 adottata nel 2015 e l’Accordo di Parigi entrato in vigore nel 2016; in modo del tutto analogo con i pregressi trattati, anche il patto globale dell’ambiente si è sviluppato, infatti, partendo dalla constatazione che il nostro pianeta sta vivendo una grave crisi ambientale e che per fare fronte a ciò occorra affinare una maggiore e più efficace cooperazione internazionale. Il Patto non prevede, inoltre, un meccanismo di compliance ma, sempre in linea con il passato, rinvia per la tutela dell’ambiente al corpus giuridico nazionale di ciascun Stato membro del Patto; l’accordo si limita a fissare i principi fondamentali e generali a cui le legislazioni dei Paesi dovranno poi attenersi e lo fa, in buona parte, consolidando regole già stabilite in pregressi accordi o Convenzioni multilaterali e introducendo qualche novità, come il principio di resilienza, il principio di non regressione, l’obbligo di assistenza per l’ambiente e la protezione dell’ambiente in situazioni di conflitto.
È noto che dopo la cerimonia di “lancio” della proposta del 19 settembre 2017 avvenuta ai margini della sessione di apertura della 72ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il segretario generale António Guterres ha pubblicato, l’anno successivo, un rapporto in cui è stata ribadita la lacunosità del quadro normativo internazionale in materia ambientale ed è stata denunciata l’esistenza di più di 500 accordi settoriali i cui testi risultano per lo più incompleti e sovente solo parzialmente applicati.
In quell’occasione, grazie alla proposta “parigina” che ha evidenziato la necessità di sviluppare uno strumento internazionale capace di armonizzare e completare la legislazione internazionale sull’ambiente, è stato dato formalmente avvio ad una
stagione di negoziati che si sarebbero dovuti concludere con la stipula di un patto globale per l’ambiente in occasione della conferenza mondiale tenutasi quest’anno a Nairobi.
Il meeting, svoltosi in Kenia, non ha però avuto l’esito sperato: nonostante la buona volontà di una maggioranza di delegati, le raccomandazioni adottate dagli Stati a Nairobi sono infatti apparse deludenti ed il patto globale per l’ambiente, che avrebbe dovuto segnare un traguardo importante per un cambiamento radicale verso un futuro più sostenibile, è stato riduttivamente ricondotto ad una mera dichiarazione “politica”, per giunta da stilare e approvare definitivamente nel corso della prossima conferenza mondiale (Stoccolma +50) che si terrà nel 2022.