I tre rimedi previsti dalla procedura di annullamento del permesso di costruire
Mario Petrulli
L’art. 38 del Testo Unico Edilizia dispone che “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale”.
Come recentemente affermato dalla giurisprudenza, la norma si ispira ad un principio di tutela degli interessi del privato, mirando ad introdurre un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie conformi ad un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo, per tutelare l’affidamento del privato nella legittimità del titolo edilizio rilasciato dall’amministrazione. In tal senso, l’art. 38 integra la presenza di una “speciale norma di favore”, che differenzia la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, tutelando l’affidamento del privato che ha avviato e anche eventualmente concluso i lavori in base a titolo ottenuto.
La ratio del regime sanzionatorio “più mite” riservato dal legislatore agli interventi edilizi realizzati in presenza di un titolo abilitativo, che solo successivamente sia stato dichiarato illegittimo, rispetto al trattamento ordinariamente previsto per le ipotesi di interventi realizzati in originaria assenza del titolo, deve essere rinvenuta nella specifica considerazione dell’affidamento dell’autore dell’intervento sulla presunzione di legittimità e, comunque, sull’efficacia del titolo assentito.
Una volta identificato nella tutela del legittimo affidamento l’elemento normativo che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato in buona fede l’opera abusiva sulla base di un titolo annullato, rispetto a quanti abbiano realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, ne consegue che il citato art. 38 trova applicazione solo in presenza di manufatti realizzati conformemente al titolo edilizio assentito; laddove, per le ipotesi di abusi formali ab initio privi di valido titolo abilitativo, trova applicazione il diverso istituto dell’accertamento di conformità, subordinato al riscontro delle stringenti condizioni di cui all’art. 36 del Testo Unico Edilizia.
Il primo rimedio: la rimozione dei vizi
Può, quindi, affermarsi che, per tenere conto di tale particolare fattispecie, suscettibile di giustificare un trattamento normativo più favorevole rispetto all’abusività “originaria”, il legislatore ha previsto tre possibili rimedi, modulati alla luce della gravità della violazione della normativa urbanistica.
Il primo è la “sanatoria” della procedura, nei casi in cui sia possibile la rimozione dei vizi della procedura amministrativa, con conseguente non applicazione di alcuna sanzione edilizia, ricondotta pacificamente dalla giurisprudenza ai casi di vizi formali (si pensi, ad esempio, all’incompetenza del sindaco al rilascio della deroga in materia di distanze, spettante al consiglio comunale secondo la normativa specifica) o procedurali (si pensi, ad esempio, all’assenza di un parere necessario o alla mancata predisposizione dello studio planivolumetrico) o sostanziali sanabili (si pensi, ad esempio, ad una costruzione che originariamente aveva violato il limite di altezza consentito e che, a seguito della normativa sopravvenuta, tale limite risulta rispettoso del nuovo parametro), ma non alle ipotesi di vizi sostanziali insanabili; secondo la giurisprudenza, l’amministrazione, ogni volta che ciò sia possibile, deve privilegiare la riedizione
del potere depurato dai vizi riscontrati, ancorché aventi carattere sostanziale, e ricorrere alla demolizione dell’opera abusiva solo quale extrema ratio, quando cioè si sia in presenza di vizio, formale o sostanziale, inemendabile.