Applicazione dell’IVA sulla TIA2
Luigi Lovecchio e Pasquale Mirto
La recente ordinanza n. 16332 del 2018 della Corte di Cassazione, in materia di applicazione dell’IVA sulla TIA2, riaccende i riflettori su un tema di grande interesse che da anni agita la materia del prelievo sui rifiuti.
Si tratta peraltro di questione non solo di notevole rilevanza ma anche di estrema attualità. Sotto il primo profilo, è noto che la TIA2, ovverosia la tariffa prevista nell’articolo 238, d.lgs. n. 152/2006, è stata applicata in molte zone con una popolazione servita tutt’altro che irrilevante (ad esempio, Comune di Venezia), fino alla sua definitiva abrogazione, avvenuta ad opera dell’art. 14, d.l. n. 201/2011. Dal lato dell’attualità, sono altrettanto note le perplessità intorno alla nuova tariffa puntuale attuata con il d.m. 29.4.2017, che si limita a prevedere, come requisito minimo ai fini della sua istituzione, la misurazione, peraltro anche indiretta o presuntiva, dei soli rifiuti indifferenziati.
La questione tocca problematiche di ampio respiro, di portata sistematica nell’ambito del diritto tributario. Si tratta infatti di definire i connotati tipici dei prelievi tributari, da un lato, e di individuare correttamente la fattispecie imponibile dell’IVA, anche sulla scorta della giurisprudenza UE, dall’altro.
L’ordinanza in esame lascia decisamente in ombra la seconda tematica, anche per la superficialità con cui ha affrontato la prima. Non è estranea a tale criticità la circostanza che la pronuncia non sia stata adottata dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione, bensì dalla sezione civile, che non sempre “maneggia” le questioni fiscali con sufficiente padronanza. Affermare in modo tranciante che il mero fatto che la TIA2 è stata dichiarata d’imperio entrata non tributaria (ex art. 14, d.l. n. 78/2010), di per sé, comporta che “non è più dato interrogarsi sulla natura di corrispettivo” della TIA2 è giuridicamente (e profondamente) errato, oltre che apertamente contrario al buon senso. È come se la TARI classica diventasse un corrispettivo di diritto privato con la semplice adozione di una disposizione legislativa. In realtà, la denominazione utilizzata dal legislatore, come insegna la Consulta (sentenza n. 238/2009), costituisce un indizio della natura giuridica dell’entrata al quale tuttavia deve corrispondere l’effettiva disciplina applicativa. Nel caso che ci occupa, la TIA2 è stata istituita dalla generalità dei comuni sulla base del d.P.R. n. 158/1999, ovverosia il medesimo regolamento che reggeva la TIA1 (art. 49, d.lgs. n. 22/1997). Non ci vuole molta fantasia o sapere giuridico-tributario per arrivare alla conclusione che non può accadere che il medesimo prelievo cambi natura solo cambiando etichetta, senza che nulla sia modificato sotto il profilo sostanziale.
Per questo motivo, si è dell’avviso che la questione dovrà essere rimeditata con maggiore attenzione dai giudici di vertice. Non si può escludere a questo punto un nuovo intervento della stessa Corte Costituzionale volto a scrutinare la ragionevolezza della disposizione interpretativa del suddetto d.l. n. 78/2010. In conclusione, la sensazione è che il problema sia ancora lontano da una soluzione stabile.