La natura giuridica degli atti del Gestore dei servizi energetici (GSE)
Tommaso Muiesan
La questione su cui l’Adunanza plenaria è stata recentemente chiamata a pronunciarsi attiene alla natura giuridica degli atti con i quali il Gestore dei servizi energetici (Gse) verifica l’osservanza, da parte degli importatori e dei produttori di energia elettrica da fonti non rinnovabili, della c.d. ‘quota d’obbligo’, di cui all’art. 11 del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
Orbene, prima di procedere alla disamina della quaestio iuris scrutinata in sede nomofilattica, onde sgombrare il campo da
eventuali equivoci, conviene preliminarmente dar conto dei sistemi di incentivazione di produzione di green energy che si sono succeduti nel corso nel tempo.
Infatti, sebbene il progressivo contenimento delle emissioni di anidride carbonica e di gas inquinanti presenti nell’atmosfera abbia costituito, almeno a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, una delle principali esigenze che hanno orientato la legislazione nazionale in materia ambientale, nondimeno plurimi e variegati sono stati i meccanismi attraverso i quali si è tentato di perseguire il detto obiettivo, sotto la spinta dell’ordinamento eurounitario e dei vincoli internazionali.
A tal proposito, merita rammentare che la controversia sub iudice si inserisce in un contesto normativo che trovava il proprio fulcro nel richiamato Decreto Bersani. Quest’ultimo, adottato in attuazione della direttiva comunitaria 96/92/CE recante norme per il mercato comune dell’energia elettrica, delineava un sistema fondato, da un lato, sulla emissione di titoli premiali in favore di produttori di energia alternativa e, dall’altro, sulla previsione di una prestazione patrimoniale a carico di importatori e produttori di energia proveniente da fonti non rinnovabili, sui medesimi gravando l’obbligo legale di immettere in rete un determinato quantitativo di energia pulita calcolato in proporzione allo stock di energia derivante da fonti fossili prodotta o comunque importata. Gli operatori venivano, tuttavia, lasciati liberi di scegliere se assolvere tale obbligazione in via autonoma, attuando una conversione dei propri sistemi produttivi, ovvero indirettamente, tramite acquisto di un’equipollente quantità di certificati verdi da parte di produttori di energia da fonti rinnovabili. Si veniva così a creare un mercato artificiale, fondato sul merito ambientale, che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe rappresentato un efficiente strumento di perseguimento di obiettivi di pubblico interesse.