Decoro urbano: tra protezione del patrimonio artistico e sicurezza urbana
Cristina Videtta
1. – Il termine “decoro”, quando riferito alla qualità della città, si pone all’incrocio di diverse discipline, invero ispirate a logiche
non del tutto omogenee.
Il decoro dell’urbe è, in effetti, variamente indicato quale oggetto di protezione da talune differenti normative di settore: se è vero che, prima di tutto, viene alla mente il decoro (qui nello specifico) dei beni del patrimonio storico-artistico, tutelato dal Codice dei beni culturali e del Paesaggio, d.lgs. n. 42/2004, vi sono riferimenti ad esso anche nello stesso decreto legislativo nella parte relativa al paesaggio; di decoro parla pure il codice dell’ambiente, d.lgs. n. 152/2006, nell’art. 232-ter, una breve norma introdotta dall’art. 40, comma 1, l. n. 221/2015 in materia di divieto di abbandono di rifiuti di piccolissime dimensioni; a questi vanno aggiunti i regolamenti edilizi comunali adottati sulla base dell’art. 4, T.U. Edilizia, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, l’art. 50, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, come modificato dall’art. 8, comma 1, lettera a), l. n. 48/2017, nonché dal d.l. 4 ottobre 2018 n. 113, convertito in legge 1° dicembre 2018, n. 132, in materia di poteri di ordinanza del Sindaco quale rappresentante della comunità locale, ed infine, la legge (da ultimo citata) n. 48/2017 (di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14) in materia di sicurezza delle città.
Più analiticamente, pare senz’altro potersi dire che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. n. 42/2004, sia probabilmente il testo normativo che, oggi, fa più ampio uso del termine “decoro”. Lo si ritrova, in effetti espressamente menzionato in diverse disposizioni: l’art. 45 (in materia di vincolo indiretto), l’art. 49 (in materia di collocazione di manifesti e cartelli pubblicitari), l’art. 52 (in materia di esercizio del commercio in aree di valore culturale), l’art. 96 (in tema di espropriazione per fini strumentali) e l’art. 120 (sulla sponsorizzazione). Ancora espressamente di “decoro”, parla il d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, che all’art. 4, attribuisce alle soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio la competenza ad assicurare la tutela appunto del decoro dei beni culturali ex art. 52 del Codice.
In tutti questi casi, il decoro, ancorché non venga mai definito o, quanto meno descritto, pare senz’altro da riferirsi all’esigenza di protezione di un quid pluris rispetto alla dimensione meramente fisica-materiale del bene stesso, ossia il suo significato storico artistico, che trova diretto collegamento col suo essere “testimonianza avente valore di civiltà”, secondo la feconda definizione datane dall’art. 2 del Codice stesso, e prima ancora, dalla nota Commissione Franceschini.