Della vigilanza, della garanzia e della giustizia
Emiliano Bezzon
Premessa: quelle che seguono sono riflessioni completamente slegate dall’identità dei soggetti coinvolti, siano stati essi assolti o condannati, ma vogliono provare a riferirsi, in astratto ai ruoli istituzionali ricoperti.
Seconda riflessione: la drammaticità degli eventi e l’enorme portata delle conseguenze in termini di vittime e feriti non può mai e minimamente essere messa in discussione e nessun risarcimento – erogato o erogando – potrà mai porvi rimedio.
Dei fatti occorsi ormai cinque anni orsono tutti sono a conoscenza, tanto che, purtroppo, quanto accaduto in quella serata in una delle più belle ed eleganti piazze del Paese, ha costituito una sorta di discrimine temporale. Immediatamente dopo, infatti, si è generata una serie di provvedimenti amministrativi e interpretativi (non normativi), che hanno segnato una svolta epocale, un vero e proprio spartiacque, nella gestione degli eventi pubblici, piccoli o grandi.
Nei primi giorni di marzo è stata pronunciata la sentenza della Corte d’Assise che ha registrato tre condanne e diverse assoluzioni. La sentenza segue quella pronunciata in sede di rito abbreviato, che ha visto la condanna di figure istituzionali di vertice, tra cui il Questore e il Sindaco.
La più recente, a seguito di rito ordinario, ha portato alla condanna del Capo di gabinetto del Questore, del dirigente di Polizia di Stato responsabile del servizio in piazza e del dirigente della Polizia Municipale, anch’esso presente e l’assoluzione di tutti gli altri imputati, dirigenti comunali e membri della commissione provinciale di vigilanza.
La prima cosa che colpisce è sicuramente l’enorme lasso di tempo intercorso tra gli accadimenti e l’emanazione delle sentenze, nonostante il clamore mediatico, l’enorme interesse sociale e, non da ultimo, il rilievo istituzionale delle figure indagate e giudicate. Cinque anni sono davvero tanti, nonostante il periodo pandemico, atteso il potente bisogno di risposte da parte dei familiari delle vittime, da parte delle istituzioni, della società civile e della politica.
Altra cosa che balza all’occhio è il coinvolgimento, sia nella fase delle indagini preliminari che nel processo, fino alla condanna, degli esponenti delle sole Polizia di Stato e Polizia Locale, nonostante la presenza sulla piazza di esponenti delle altre forze di polizia.
Questi i fatti, sinteticamente e asetticamente. E dai soli fatti non è chi non veda una palese divergenza interpretativa tra il giudice del rito abbreviato e la Corte d’Assise. Il primo, infatti, ha ritenuto sussistente la responsabilità penale in capo al Sindaco, in virtù delle sue funzioni di controllo e vigilanza sull’attività di dirigenti e degli uffici, senza alcuna considerazione, nemmeno marginale, della inveterata separazione di ruoli e responsabilità introdotta dalla legge Bassanini, alcuni decenni orsono. Il secondo, con un ribaltamento radicale della visione, ha condannato solo i soggetti direttamente coinvolti nella gestione operativa dell’evento, seppure con ruoli e responsabilità differenti, mandando ad assoluzione tutti gli altri, compresa la commissione provinciale di vigilanza. In un caso si condannano il Sindaco e il Questore senza nemmeno indagare il Prefetto, che costituisce l’autorità politica di pubblica sicurezza: perché? Nell’altro si assolvono soggetti istituzionali che hanno sicuramente un ruolo più diretto nella gestione dell’evento, non solo in fase preventiva, ma anche di controllo e mi riferisco alla commissione di vigilanza.
Quindi: il Sindaco deve vigilare sull’operatività dei suoi dirigenti e viene condannato perché, evidentemente, si ritiene che abbiamo operato male e sia quindi mancata una adeguata vigilanza e una conseguente azione correttiva; poi gli stessi dirigenti vanno tutti assolti. Ancora: chi ha un ruolo fondamentale nell’attività di vigilanza sui pubblici spettacoli, tanto da assumere quella funzione anche nella propria denominazione ufficiale, viene assolto. E allora quando il cattivo esercizio della funzione (e responsabilità) di vigilanza assume una rilevanza penale e quando invece no? È difficile capirlo, a questo punto. I soggetti condannati dalla Corte d’Assise sono stati tutti ritenuti titolari della cosiddetta posizione di garanzia (non impedire lo svolgersi di un evento, equivale a cagionarlo): ma come si fa a mettere sullo stesso piano due alti dirigenti della Questura (autorità di pubblica sicurezza) e un dirigente della polizia locale (agente di pubblica sicurezza)?
Se poi si riconsidera il fatto che l’elemento scatenante il panico e la conseguente perdita di controllo dei movimenti della folla si è acclarato essere stato il comportamento delittuoso di un pugno di delinquenti rapinatori che hanno utilizzato spray al peperoncino e per questo sono stati condannati, si fatica a ritenere prevedibile un tale accadimento e la conseguente configurazione della posizione di garanzia, come esplicitata dal Codice penale.
Ovviamente facciamo ragionamenti in astratto, senza aver letto le motivazioni della seconda sentenza (non ancora disponibili) e i fascicoli di indagine. Certo anche le parole del Pubblico Ministero in entrambe i riti – come riportate dai principali organi di stampa – che si dice perplesso su alcune assoluzioni proprio in ottica di coerenza tra il primo e il secondo giudizio, non possono non colpire. Alla fine, quindi così si deve intendere per dovere di vigilanza? Quello stabilito espressamente dalla legge o quello dedotto in fase di indagine?
E cosa deve intendersi per posizione di garanzia? Quella in capo a chi ha la responsabilità ex lege della sicurezza di un evento o anche quella di uno degli attori da esso dipendenti (e non di tutti, come si è visto)? E che dire della giustizia?
A questo punto, difficile rispondere serenamente.