Decertificazione e documentazione amministrativa: conciliare l’esigenza di semplificazione con quella di certezza
Gilberto Guerriero
L’attività di certificazione ha fatto parte dell’immaginario collettivo della pubblica amministrazione a tal punto da diventare, a seconda dei punti di vista, simbolo di semplificazione e di miglioramento o esempio di complicazione e dell’incapacità della burocrazia pubblica di rinnovarsi ed adeguarsi ai tempi.
Dall’istituzione della Repubblica non c’è governo che non abbia “caricato” di significati innovativi gli iterventi sulla parte finale dei processi con i quali
la p.a. rende pubblici e validi fatti, qualità e stati personali di cittadini ed imprese: le certificazioni, intese nel senso più generale possibile. Già nel 1968, la successivamente “inapplicatissima” legge 15 aveva previsto, con una norma assolutamente innovativa per quei tempi, il superamento di molta parte delle certificazioni attraverso dichiarazioni sostitutive con firma autenticata, ma il tentativo forse più completo di intervenire sul superamento delle certificazioni è partito con la legge 15 maggio 1987, n. 127, la cosiddetta Bassanini bis, che ha predisposto un quadro normativo che ha poi consentito gli sviluppi degli ultimi 15 anni in materia di semplificazione e decertificazione.
Ascrittosi quindi i diversi governi il merito delle innovazioni messe in campo (sulla carta), il peso concreto delle stesse è sempre stato caricato, per la
maggior parte, sulle amministrazioni certificanti e sulle loro strutture competenti, tra le quali i servizi demografici occupano il posto d’onore. La storia recente della semplificazione ci dice che gli interventi successivi hanno avuto anche risultati significativi ed importanti, soprattutto con l’emanazione del d.P.R. 28.12.2000, n. 445 “Testo unico sulla documentazione amministrativa”, di portata generale per tutta la p.a. e con gli interventi modificativi verificatisi quasi ogni anno sino ad oggi sulle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi adottate nel 1990 con la legge 241.
Alcuni interventi fondamentali anche in materia di decertificazione erano già stati introdotti, sempre a seguito della Bassanini bis del 1997, con il d.lgs. 3.11.2000, n. 396 in materia di stato civile, soprattutto in materia di documentazione necessaria per il matrimonio e per la denuncia e le comunicazioni di nascita.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale (C.A.D.), d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, ha posto poi le basi per l’effettivo superamento dell’amministrazione certificante e cartacea, prevedendo norme ad hoc per la dematerializzazione dei documenti e per la trasmissione telematica degli stessi.
Probabilmente tutto il percorso che ho troppo sinteticamente riprodotto non è servito a molto se a fine 2011 il nuovo governo in carica ha sentito il bisogno di introdurre nel cosiddetto decreto 183 “SalvaItalia” l’art. 15, intitolato per l’ennesima volta “Norme in materia di certificati e dichiarazioni sostitutive…”.
La novità, questa volta è costituita dall’estrema decisione con la quale è stata decretata la fine delle certificazioni, escluse quelle da utilizzarsi tra privati (vai a sapere per cosa), con l’espressa previsione di una fine (n.d.r.) dicitura su ogni certificato emesso a pena di nullità: Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi.
Siamo così passati da un regime in cui la p.a. non poteva richiedere ai cittadini ed imprese tutte le certificazioni previste dall’art. 46 del cit. d.P.R. 445/2000, ma questi avrebbero potuto decidere di fornire comunque un certificato per accellerare le loro pratiche ad un regime in cui a cittadini ed imprese viene impedito di scegliere imponendo l’obbligo della dichiarazione sostitutiva nei confronti della p.a. e nei rapporti di utenza con imprese che gestiscano servizi pubblici.
Naturalmente, dal punto di vista teorico il provvedimento ha un nobile scopo, quello di obbligare la p.a. a non chiedere inutilmente dati già in suo possesso e, quando deve chiederli a cittadini ed imprese, non caricare su di loro l’onere di procurarsi le certificazioni ma fidarsi delle loro dichiarazioni, controllandole successivamente.A questo scopo sono state stabilite sanzioni sia per la p.a. inadempiente (violazione doveri d’ufficio,
sanzioni disciplinari, responsabilità per danni da ritardo…) che per cittadini ed imprese che dovessero rilasciare dichiarazioni sostitutive “infedeli” (art. 76, d.P.R. 445/2000 – norme penali).
Purtroppo, l’euforia semplificatrice alle volte produce effetti non voluti, così, all’indomani dell’entrata in vigore della legge 12 novembre 2011, n. 183, sono iniziate le attività di interpretazione autentica delle norme appena approvate da parte sia delle amministrazioni certificanti che di quelle procedenti, con lo scopo di dimostrare che in alcuni casi l’art. 15 non si deve applicare, in altri non sarebbe opportuno farlo, in altri ancora le norme speciali prevalgono e, dulcis in fundo, dimostrare che le proprie attività sono “fuori ambito” rispetto al d.P.R. 445/2000.
Non si tratta di attività inutili, perché il carattere “tranchant” della norma in oggetto non ha tenuto conto (se volutamente o meno preferisco non approfondirlo) del fatto che la p.a., così come la società, ha raggiunto livelli diversi di evoluzione tecnologica ed organizzativa e che, pertanto non è ancora pronta, se non in pochi casi, ad utilizzare rapporti esclusivamente telematici quali quelli sottesi dalla decertificazione.
Le banche dati più importanti non sono ancora completamente popolate ed interconnesse tra di loro in modo tale da garantire l’inutilità delle certificazioni e dello scambio di dati per singoli procedimenti tra le migliaia di pubbliche amministrazioni italiane. La complessità normativa italiana non semplifica certo il problema. Basti ad esempio riflettere sul fatto che solo dopo l’approvazione della legge 183 è stato deciso con il “Nuovo regolamento di gestione dell’Indice Nazionale delle Anagrafi” l’ampliamento della base di dati che i Comuni devono mettere a disposizione dell’Ina-Saia, costituendo di fatto l’anagrafe centralizzata contro la quale si era scagliato il Garante per la privacy proprio in occasione dell’istituzione
dell’Ina-Saia.
Le pagine che seguono hanno lo scopo di chiarire agli operatori cosa è cambiato effettivamente in tema di certificazioni, per chi e con quali responsabilità, fornendo, nel limite del consentito da una situazione in continua evoluzione, una piccola “cassetta degli attrezzi” per potervi dare applicazione con la necessaria sicurezza e tranquillità…