Generare la ‘città interiore’
Andrea Porcarelli
Rigenerare il patto formativo della comunità
Già Platone, nella Repubblica, parlava della necessità di favorire – mediante l’educazione dei giovani – il prender forma di una solida struttura interiore, che egli stesso paragona alla costituzione di una città. In tempi molto più vicini, ma che ora sembrano particolarmente lontani, i padri costituenti della Repubblica italiana espressero l’unanime auspicio che questa trovasse ‘tosto’ uno spazio di insegnamento nelle scuole della nascente Repubblica, affinché i giovani potessero nutrirsi dello spirito che ne stava animando l’elaborazione.
La formazione di quelle che l’Europa chiama competenze sociali e civiche non passa attraverso la realizzazione estemporanea di progetti che inseguano le mode culturali del momento, ma attraverso la paziente costruzione di una città interiore, bene ordinata, in cui la nostra Costituzione giochi il ruolo di rigenerare nella mente e nel cuore degli allievi il patto fondativo della nostra comunità nazionale, il cui spirito dovrebbe divenire anche il cuore pulsante di tale città interiore.
Questa la nostra ipotesi di lavoro, che si collega anche alla prospettiva da noi assunta per interpretare la didattica per competenze (Porcarelli, 2016) ed è chiamata a misurarsi con uno scenario culturale e normativo che risulta a dir
poco sfidante.
Formare la virtù della giustizia
Se interrogassimo i testi platonici per chiedere quali disposizioni interiori siano necessarie per costruire la città interiore di cui si è detto, troveremmo una risposta tanto chiara quanto profonda: i ‘custodi interiori’ di un buon cittadino e – più ancora – di un saggio governante sono quelle virtù che avevano portato Socrate alla scelta di accettare un’ingiusta condanna, piuttosto che commettere ingiustizia contro le leggi della sua città. Più specificamente tanto Platone quanto Aristotele (e con loro tutti gli autori della cristianità antica e medievale) fanno riferimento alla virtù della giustizia, in cui trovano sintesi una pluralità di atteggiamenti che vanno dal non recare danno a nessuno (neminem laedere) al rispetto delle leggi, fino alla capacità di attribuire a ciascuno ciò che gli spetta (tribuere unicuique suum) in tutti i contesti, in tutti gli ambiti, quale che sia il ruolo che ciascuno ricopre.
Sul piano educativo il percorso per la formazione della virtù della giustizia si colloca entro una prospettiva olistica, che comporta innanzitutto un approccio complessivo alla cultura di tipo sapienziale, cioè l’idea che per formare le virtù sia necessario entrare in sintonia intima con le ragioni profonde di quell’ordine cosmico che ha in sé qualcosa di divino. Solo avendo metabolizzato le ragioni di tale sapienza sarà possibile costruire con saggezza la propria città interiore, coltivando insieme tutte le virtù che costituiscono una sorta di ‘organismo’ che le rende interdipendenti: chi si lascia guidare troppo
dalle passioni, come la cupidigia o la paura, difficilmente potrà essere saggio e giusto nel momento in cui dovrà prendere delle decisioni che hanno a che fare con la vita sociale e civile.