Fruizione pubblica del patrimonio culturale: origini ed evoluzione
Marino Breganze de Capnist
Certamente il tema della fruizione e della valorizzazione del patrimonio culturale costituiscono oggi uno dei punti di maggior interesse per la scienza giuridica. Ciò a seguito del rilievo e dell’autonomia che la materia ha assunto con l’avvento del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il tema, però, si presenta solo apparentemente nuovo – anche se lo è certamente per il corredo di principi e di istituti che accompagnano le funzioni di fruizione e valorizzazione-, dal momento che il godimento pubblico riceveva – sia pur parziale esplicito riconoscimento nell’ordinamento ben prima del Codice ed anche anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione che, all’articolo , ha inserito la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione, ai fini dello “sviluppo della cultura”, tra i principii fondamentali dell’ordinamento repubblicano, per ciò stesso sottratti alla disponibilità del potere di indirizzo politico.
Pare interessante, allora, ripercorrere dagli albori delle discipline preunitarie la considerazione che la finalità del “servizio alla comunità” offerto dall’esistenza di questi beni ha ricevuto nei vari ordinamenti; ciò anche per capire se e quanto questi contributi così risalenti abbiano inciso nella concezione vigente del patrimonio culturale e delle sue funzioni.
La situazione antecedente la normativa degli Stati preunitari
In realtà, le prime disposizioni per la tutela delle cose d’arte e dei monumenti risalgono –in modo via via più accentuato durante il periodo del principato- all’antica Roma.
E, cosa particolarmente significativa per l’epoca, molti di questi (e basti pensare ai templi, ai teatri, ai fori e addirittura alle pinacoteche e biblioteche pubbliche) erano direttamente destinati all’usus publicus. E così era anche per gli oggetti legati al culto dell’Imperatore o ai monumenti posti nella città e frutto di conquiste territoriali e persino per le statue e colonne o per gli oggetti artistici realizzati da privati e collocati in luogo pubblico, per i quali a tutti era garantito il godimento (quantomeno visivo): grazie alla c.d. dicatio ad patriam, con la quale il proprietario -pur restando tale- poneva di fatto un bene a disposizione dei cittadini (si parlava di quasi publicatio).