Nuovo Governo: quale politica per le infrastrutture?
Antonio Vespignani
Ora che il Governo Conte si è insediato, verosimilmente potranno essere sciolti alcuni dei dubbi in ordine alle linee di indirizzo che il nuovo Esecutivo intende perseguire su alcuni punti fondamentali della politica nazionale. È il caso – per quanto qui interessa – delle scelte da compiere sul fronte di una politica per le infrastrutture nell’ultimo decennio fatta più di annunci che di attuazioni concrete.
Né il “Contratto per il Governo del cambiamento”, né le prime dichiarazioni e i primi movimenti paiono caratterizzati da profili di grande chiarezza o univocità. E non potrebbe essere diversamente stante la eterogeneità delle due componenti che animano la compagine di Governo.
Tuttavia già nei propri interventi alle Camere per ottenerne la fiducia, il premier non ha esitato ad individuare negli appalti pubblici una potenziale “leva fondamentale della politica economica del Paese”, in grado di garantire sviluppo sostenibile e aumento dell’occupazione. Nel prendere atto che negli ultimi anni questo settore ha subito una fase di arresto, il Presidente del Consiglio ha individuato tra le cause principali le incertezze interpretative e talune rigidità generate dal nuovo Codice dei contratti. Di qui l’esigenza di superare il “formalismo fine a se stesso che ancora domina largamente la disciplina degli appalti”, poiché la forma non può essere scambiata per legalità: troppo spesso gare formalmente perfette nascondono corruzione e non impediscono la cattiva esecuzione”.
Tra le azioni da porre in essere per far fronte a tali criticità, dal premier è giunta l’indicazione per un rafforzamento delle funzione consultiva e di vigilanza collaborativa dell’Anac, con la finalità di assicurare in via preventiva la legittimità delle bozze degli atti di gara, e garantendo la deflazione del contenzioso e la speditezza dei procedimenti.
Dal presidente del Consiglio è giunta anche una chiara indicazione nel senso della riduzione e di qualificazione delle stazioni appaltanti, nonché un sollecito all’Anac perché renda operativa la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, concentrando in un unico centro informativo le informazioni essenziali su tutte le spese realizzate dalle pubbliche amministrazioni, con indicatori utili a far emergere le anomalie di spesa e ad attivare, per conseguenza, i controlli anticorruzione.
Queste prime uscite, con il relativo corredo di “stimoli” critici nei confronti della stessa Anac, sembra avere comunque sortito qualche primo effetto, quanto meno in termini di annunci, se è vero che, dopo il gelo iniziale, da parte degli stessi vertici dell’Autorità c’è stata (forse per la prima volta) un’esplicita ammissione circa la opportunità di semplificazione del Codice, unitamente ad un’offerta di disponibilità a dare suggerimenti in questo senso.
È particolarmente interessante, se non sorprendente, rilevare che tra gli istituti che l’Autorità reputa particolarmente meritevoli di un intervento di semplificazione figurano alcune tra le “pietre angolari” del sistema del Codice: tra tutte, il sostanziale divieto di appalto integrato, la preferenza per il criterio dell’aggiudicazione con l’offerta economicamente più vantaggiosa, la rigorosa disciplina del subappalto (con i suoi pesanti sospetti di incompatibilità con la disciplina comunitaria).
Dall’Autorità è invece arrivata una convinta difesa del sistema di soft law, esso pure annoverato tra le fonti di disorientamento normativo, respingendo con fermezza e bollando come “nostalgiche” le posizioni di chi preferirebbe un ritorno ad un regolamento, quale unico riferimento per l’attuazione del Codice.
Non resta dunque che attendere e auspicare che dalle parole/schermaglie si possa presto passare ai fatti, sia sotto il profilo normativo, sia sotto il profilo dei grandi interventi infrastrutturali in atto, per i quali il neo Ministro Toninelli sembra aver sposato la scelta – condivisibile o meno a seconda dei punti di vista, ma sicuramente dilatoria – di sottoporre ogni opera ad un’analisi costi-benefici per valutarne la sostenibilità effettiva dal punto di vista economico e ambientale.
Passando ora all’esame della produzione normativa più recente, occorre rilevare come essa risulta necessariamente condizionata dalla protratta fase di stallo parlamentare.
Per questo, in un panorama complessivamente piatto, brillano alcuni atti di attuazione del Codice dei contratti pubblici, affidati in parte all’attività elaborativa dei Ministeri competenti e in parte al consueto intervento di soft law dell’Anac.
Sotto il primo profilo, va anzitutto considerato il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 7 marzo 2018, n. 49, recante “Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione”.
Il provvedimento – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio ed entrato in vigore il successivo 30 maggio – dà attuazione all’art. 111, comma 1, del Codice dei contratti, ai sensi del quale il Ministero delle infrastrutture, con decreto e su proposta dell’Anac, approva le linee guida che individuino le modalità e la tipologia di atti attraverso i quali il direttore dei lavori e il direttore dell’esecuzione – nel caso di forniture e servizi – effettua l’attività di controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento, attività di controllo che deve essere finalizzata a garantire che i lavori ovvero le forniture e/o i servizi siano eseguiti a regola d’arte e in conformità al progetto e al contratto.
Procedendo ad un sintetico esame del decreto, occorre preliminarmente rilevare che esso viene a colmare alcune delle lacune normative (una per tutte, la consegna dei lavori) create dall’entrata in vigore del Codice e dalle abrogazioni in esso previste. Occorre altresì rilevare che in buona parte vengono riprodotte le disposizioni contenute nel d.P.R. n. 207/2010, pur con qualche significativa novità.
In materia di nomina e di compiti del direttore dei lavori, gli artt. 2 e 3 del d.m. ripropongono, nella sostanza, la disciplina previgente (artt. 152 e 154 del Regolamento) relativamente al rapporto con le altre figure operanti per conto della stazione appaltante e agli strumenti per l’esercizio della attività di direzione e controllo.
È confermata la competenza del direttore dei lavori nell’emanazione degli ordini di servizio, nonché la sua autonomia in ordine al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento. Viene inoltre ribadito l’obbligo dell’esecutore di uniformarsi alle disposizioni contenute negli ordini di servizio, ferma restando la facoltà di iscrivere le proprie riserve.
Come anticipato, il decreto, al capo II, reintroduce la disciplina della fase di consegna dei lavori (art. 5). Vi si prevede che il direttore dei lavori debba comunicare all’esecutore, con un congruo preavviso, il giorno e il luogo in cui deve presentarsi.
Non è stato peraltro riproposto il contenuto dell’art. 153, comma 7, del d.P.R. n. 207 che, per il caso di mancata presenza dell’appaltatore alla prima data fissata per la consegna dei lavori, prevedeva l’obbligo per il d.l. di fissare una nuova data per la consegna e, solo nel caso di mancata presentazione dell’esecutore anche nella nuova data, la facoltà, per la stazione appaltante, di risolvere il contratto e incamerare la cauzione. Ora invece la stazione appaltante ha la facoltà di risolvere il contratto già nel caso di assenza ingiustificata al primo appuntamento fissato per la consegna.
Nel caso opposto, di ritardo nella consegna per causa imputabile alla stazione appaltante, il comma 4, dell’art. 5 ripristina il diritto dell’esecutore di chiedere il recesso dal contratto. Al riguardo, viene richiesto che la stazione appaltante indichi nel capitolato d’appalto gli eventuali casi in cui è facoltà della stessa non accogliere l’istanza di recesso dell’esecutore. Da rilevare che non è stata riproposta la disposizione dell’abrogato art. 153, comma 9, Reg. che non consentiva alla stazione appaltante di respingere l’istanza di recesso nel caso di ritardo nella consegna superiore alla metà del termine utile contrattuale o comunque a sei mesi complessivi.
In caso di accoglimento dell’istanza di recesso, l’esecutore ha diritto di chiedere il rimborso delle spese contrattuali effettivamente sostenute e documentate, ma in misura non superiore ai parametri già previsti dall’abrogato art. 157 del d.P.R. n. 207/2010.
L’ipotesi di consegna parziale è disciplinata dal comma 9 dell’art. 5 ove si dispone che il direttore dei lavori vi provvede nel caso in cui il capitolato speciale lo preveda in relazione alla natura dei lavori da eseguire ovvero nei casi di temporanea indisponibilità delle aree e degli immobili. In tale ultimo caso, l’esecutore, pena l’impossibilità di iscrivere riserve per ritardi, è tenuto a presentare un programma di esecuzione dei lavori che preveda la realizzazione prioritaria delle lavorazioni sulle aree e sugli immobili disponibili. Realizzati i lavori previsti dal programma, qualora permangano le cause di indisponibilità, si applica la disciplina relativa alla sospensione dei lavori. Infine, è stata reintrodotta la previsione secondo cui, in caso di consegna parziale dei lavori, la data di consegna è quella dell’ultimo verbale di consegna parziale.
In ordine all’accettazione dei materiali (art. 6), si prevede che il d.l. esegua tutti i controlli e le prove previsti anche dal Piano d’azione nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione (PAN GPP), di cui sono attuazione i dd.mm. che hanno introdotto i Criteri Ambientali Minimi (CAM). Il direttore dei lavori o l’organo di collaudo, se ritenuto necessario dalla stazione appaltante, dispongono prove o analisi ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge o dal capitolato speciale di appalto, finalizzate a stabilire l’idoneità dei materiali o dei componenti con spese a carico dell’esecutore. In passato, nell’abrogato art. 167 d.P.R. n. 207, la facoltà di disporre prove o analisi ulteriori era esclusivamente in capo al direttore dei lavori.
All’art. 7 vengono definite le funzioni del direttore dei lavori rispetto agli obblighi dell’esecutore e del subappaltatore, in attuazione dell’articolo 101, comma 3 del Codice. In particolare, il d.l., oltre a verificare la presenza in cantiere dei subappaltatori autorizzati e dei subcontraenti e a controllare che gli stessi svolgano effettivamente la prestazioni loro affidate, registra anche le eventuali contestazioni sulla regolarità dei lavori eseguiti dal subappaltatore e, ai fini della sospensione dei pagamenti all’esecutore, determina la misura della quota corrispondete alla prestazione oggetto di contestazione. Tale previsione va evidentemente coordinata anche con l’istituto del pagamento diretto del subappaltatore di cui all’art. 105, comma 13, del Codice.
Un’importante innovazione (art. 7, comma 2) si ha in materia di controlli in caso di avvalimento. La disposizione prevede infatti che il d.l. coadiuvi il Rup nell’attività di verifica dei requisiti di capacità tecnica messi a disposizione dall’impresa ausiliaria e, in particolare, dell’effettivo impiego delle risorse oggetto di avvalimento nel corso dell’esecuzione dei lavori, ai sensi dell’articolo 89, comma 9, Codice.
Infine, come già previsto per i controlli relativi ai materiali, il direttore dei lavori deve porre in atto tutti i controlli previsti dal citato PAN GPP con riferimento alle specifiche attività di verifica da attuarsi durante la fase esecutiva dell’opera (art. 7, comma 4).
L’art. 8, in tema di modifiche, variazioni e varianti contrattuali, prevede, anzitutto, che il d.l. propone le modifiche/varianti di cui all’art. 106 del Codice e le relative perizie di variante, indicandone i motivi al Rup in apposita relazione. Il direttore dei lavori risponde delle conseguenze derivanti dall’aver ordinato o lasciato eseguire variazioni o addizioni al progetto senza aver ottenuto regolare autorizzazione, salvo il caso in cui gli interventi siano volti ad evitare danni gravi a persone o cose.
Viene ribadita l’impossibilità per l’esecutore di far valere il diritto alla risoluzione del contratto nel caso in cui, in corso di esecuzione, si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto (art. 106, comma 12, Codice): in tal caso l’art. 8, comma 4 del d.m. richiede la redazione di una perizia di variante, accompagnata da un atto di sottomissione che l’impresa è tenuta a sottoscrivere in segno di accettazione o di motivato dissenso.
Il d.M. in commento non contiene più la disciplina – già contenuta nell’art. 161, comma 13, Reg. – che, nel caso di variante in corso di esecuzione eccedente il limite del quinto, prevedeva una rinegoziazione relativamente al corrispettivo dei maggiori lavori ordinati e che consentiva all’appaltatore di recedere dal contratto in caso di mancato accordo.
In ordine alle c.d. varianti non varianti, il comma 7 reintroduce la possibilità per il d.l. di disporre modifiche di dettaglio non comportanti aumento o diminuzione dell’importo contrattuale, comunicandolo preventivamente al Rup. Peraltro, a differenza che in passato, non sono previsti limiti di variazione delle singole categorie di lavori.
L’art. 9 innovando completamente rispetto alla previgente disciplina (artt. 164, 190, 191 del d.P.R. n. 207), ma anche rispetto alle precedenti bozze del decreto stesso, non contiene una disciplina specifica sulle modalità di contestazione, da parte dell’esecutore, riguardo ad aspetti tecnici che possono influire sull’esecuzione dei lavori, nonché sulle modalità attraverso cui l’esecutore stesso può esercitare il diritto di iscrivere riserva nei documenti contabili. La disposizione si limita invece ad un mero rinvio alla regolamentazione prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto.
In materia di sospensioni, l’art. 10, ad integrazione di quanto disposto dall’art. 107 del Codice, completa il quadro regolamentare recuperando gran parte dei contenuti dei corrispondenti articoli del d.P.R. n. 207/2010.
Il comma 2 pone il principio che, nel caso di sospensioni totali o parziali dei lavori disposte dalla stazione appaltante, l’esecutore non può chiedere il risarcimento dei danni qualora la sospensione sia disposta per circostanze speciali non prevedibili al momento della stipula, ragioni di necessità o pubblico interesse, fra cui l’interruzione di finanziamenti, ovvero per cause imprevedibili o di forza maggiore.
Il contratto deve invece contenere una clausola penale nella quale il risarcimento dovuto all’esecutore nel caso di sospensioni totali o parziali disposte per cause diverse da quelle sopraelencate, venga quantificato sulla base di una serie di criteri indicati nello stesso comma 2 e configurati come limiti massimi di quantificazione del risarcimento.
Il comma 4 riproduce nella sostanza il dettato dell’art. 159, comma 3, d.P.R. n. 207/2010, prevedendo che, laddove l’esecutore ritenga cessate le cause di sospensione dei lavori, riscontrando l’inerzia della p.a., debba diffidare per iscritto il RUP affinché dia al d.l. le disposizioni necessarie a provvedere alla ripresa dei lavori. La diffida è condizione necessaria per l’iscrizione di riserva all’atto della ripresa dei lavori, ove l’esecutore intenda far valere l’illegittima maggiore durata della sospensione. Viene prevista, infine, al comma 6, la responsabilità del direttore dei lavori per l’eventuale sospensione illegittima ordinata per circostanze non contemplate dall’art. 107 del Codice, in quanto non rientrante nei casi eccezionali previsti dalla normativa vigente.
L’art. 12, comma 1, ultimo periodo, del decreto reintroduce la previsione dell’abrogato art. 199 Reg., in ordine alla possibilità che il certificato di ultimazione dei lavori preveda l’assegnazione di un termine perentorio (di non oltre 60 giorni) per il completamento di lavorazioni di piccola entità. A differenza che in passato, tuttavia, è necessario che tale possibilità sia prevista nel bando e nei documenti contrattuali.
L’art. 14, sui documenti contabili che devono essere predisposti e tenuti dal Direttore dei lavori si pone in linea di continuità con la previgente disciplina, pur con alcune novità:
- viene, infatti, introdotto l’obbligo per il d.l. di trasmettere immediatamente al Rup il Sal, una volta che lo stesso sia stato rilasciato nei termini e nelle modalità indicati nella documentazione di gara e nel contratto di appalto; spetta poi al Rup l’emissione del certificato di pagamento. Nell’abrogato articolo 194 Reg. era invece previsto l’obbligo per il direttore dei lavori di redigere il sal “nei termini specificati nel contratto”;
- nel caso di appalto comprendente lavori da tenere distinti (come nel caso in cui i lavori facciano capo a fonti diverse di finanziamento), viene previsto che la contabilità comprenda tutti i lavori e sia effettuata attraverso distinti documenti contabili, in modo da consentire una gestione separata dei relativi quadri economici.
- per i lavori annuali estesi a più esercizi con lo stesso contratto, viene prevista la liquidazione alla fine dei lavori di ciascun esercizio, chiudendone la contabilità e collaudandoli, come appartenenti a tanti lavori fra loro distinti.
Al riguardo, occorre peraltro rilevare l’assenza di termini per l’emissione dei documenti quali il certificato di inizio lavori, il certificato di ultimazione lavori, l’emissione dei Sal e dei certificati per il pagamento degli acconti.
L’art. 15, infine, disciplina le modalità di funzionamento degli strumenti elettronici di contabilità e contabilità semplificata, prevedendo, in particolare, la possibilità, nel caso di utilizzo di programmi di contabilità computerizzata, di effettuare la compilazione dei libretti delle misure anche attraverso la registrazione delle misure rilevate direttamente in cantiere dal personale incaricato, in apposito brogliaccio ed in contraddittorio con l’esecutore.
Gli articoli da 16 a 26 del d.m. n. 49 introducono una normativa specifica per quanto riguarda i compiti e le attività del “Direttore dell’esecuzione” nei contratti che hanno per oggetto servizi e forniture alla p.a. riproducendo in massima parte, con gli adattamenti del caso, la disciplina degli articoli precedenti sulla figura del direttore dei lavori.
Un altro importante tassello del complesso e articolato mosaico rappresentato dal Codice dei contratti e dai suoi provvedimenti attuativi è costituito dal d.m. Sviluppo economico 19 gennaio 2018, n. 31, redatto di concerto con il Ministero delle infrastrutture e recante il “Regolamento con cui si approvano gli schemi di contratto tipo per le garanzie fideiussorie previste dagli articoli 103, comma 9 e 104, comma 9, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.
Gli schemi di contratto in questione – in vigore dal 25 aprile 2018 – sostituiscono quelli contenuti nel d.m. 12 marzo 2004, n. 123, riferito ancora alla legge Merloni e al regolamento generale n. 554/1999 ed espressamente abrogato dall’art. 3, comma 1 del decreto in commento.
Oltre alle quattro garanzie già previste (cauzione provvisoria, garanzia definitiva, garanzia per l’anticipazione e garanzia per la rata di saldo), vengono introdotte due nuove garanzie: quella fideiussoria per la risoluzione del contratto e quella per il buon adempimento.
Per ciascuno di questi modelli, il decreto prevede una duplice opzione: la garanzia rilasciata da un unico soggetto oppure rilasciata congiuntamente da più garanti. In tale seconda ipotesi le garanzie potranno essere presentate sia con un unico atto che indichi tutti i garanti e le relative quote, sia con atti separati per ciascun garante e per la relativa quota. La suddivisione per quote opera nei rapporti interni tra garanti, ferma restando la solidarietà nei confronti della stazione appaltante o del soggetto aggiudicatore.
I contratti di fideiussione dovranno essere conformi alle indicazioni contenute nell’Allegato A al decreto, mentre, ai fini della partecipazione alla gara e della successiva esecuzione, gli operatori economici dovranno presentare alla stazione appaltante soltanto le schede tecniche di cui all’allegato B, compilate e sottoscritte dal garante e dal contraente.
Quanto all’ambito di applicazione, il decreto si applica ai settori ordinari, mentre per i settori speciali e per le concessioni la sua operatività è condizionata al fatto che i documenti di gara prevedano la prestazione di garanzie della tipologia di cui agli schemi tipo e richiamino inoltre il decreto medesimo.
Va infine rilevato che, a differenza del precedente d.m. n. 123/2004, il nuovo decreto non contiene gli schemi tipo per le coperture assicurative, malgrado il comma 9 dell’art. 103 del Codice faccia espresso riferimento anche alle “polizze assicurative previste dal presente codice”.
Sul fronte delle linee guida Anac, invece, va anzitutto registrato l’opportuno aggiornamento (con delibera n. 206 del 1° marzo 2018) delle linee guida n. 2, recanti Offerta economicamente più vantaggiosa. approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 1005, del 21 settembre 2016. Aggiornate al d. lgs 19 aprile 2017, n. 56 con delibera del Consiglio n. 424 del 2 maggio 2018.
Con la successiva delibera n. 318 del 28 marzo 2018 sono state invece approvate le “Linee guida n. 9, di attuazione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recanti «Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato»”.
L’art. 181, comma 4, del Codice dei contratti attribuisce infatti all’Anac, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze, il compito di adottare Linee Guida che definiscano le modalità con le quali le amministrazioni aggiudicatrici, attraverso sistemi di monitoraggio, esercitano il controllo sull’attività dell’operatore economico (partner privato in un contratto di PPP), verificando in particolare la permanenza in capo allo stesso dei rischi trasferiti.
Le linee guida in oggetto si applicano ai contratti di PPP di cui all’articolo 3, lettera eee),
del Codice, tra i quali rientrano i contratti indicati all’articolo 180, comma 8, del d.lgs. n. 50/2916 e ogni altro contratto che presenti le caratteristiche individuate dal medesimo articolo 180.
Una particolare attenzione merita di essere riservata ad una tipologia sui generis di affidamento di servizi, che peraltro forma oggetto di unno specifico intervento noramtivo dell’Autorità anticorruzione. Ci si riferisce alla delibera n. 462 del 23 maggio 2018 in forza della quale sono state approvate le linee guida n. 10 recanti “Affidamento del servizio di vigilanza privata”.
È questo un tema del quale l’Autorità si era già occupata con la determinazione n. 9 del 22 luglio 2015, il cui aggiornamento si è reso necessario a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti, come novellato dal d.lgs. n. 56/2017.
L’Autorità prende le mosse da un (neppur troppo sintetico) excursus normativo sull’argomento, ricordando che l’attività di vigilanza privata è disciplinata da molteplici fonti, e in particolare dal Tulps (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) e dal relativo regolamento (r.d. 6 maggio 1940, n. 635).
In particolare, il Tulps disciplina, al Titolo IV, l’attività di vigilanza privata e dispone che “senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati”.
La licenza è rilasciata dal Prefetto in presenza di particolari presupposti e requisiti indicati negli articoli 134, 136, 138 del Tulps.
Le modalità di presentazione della domanda per il rilascio della licenza di cui all’articolo 134 del Tulps sono disciplinate dall’articolo 257 del Regolamento, che prevede (tra l’altro) l’obbligo di indicare il soggetto che la richiede, la composizione organizzativa e l’assetto proprietario di quest’ultimo, l’indicazione dell’ambito territoriale, anche in province o regioni diverse, in cui l’istituto intende svolgere la propria attività, l’indicazione dei servizi per quali si chiede l’autorizzazione, dei mezzi e delle tecnologie che si intendono impiegare. La domanda è corredata da un progetto organizzativo e tecnico-operativo dell’istituto, nonché dalla documentazione comprovante il possesso delle capacità tecniche occorrenti, e la disponibilità dei mezzi finanziari, logistici e tecnici necessari per l’attività da svolgere.
L’articolo 257, comma 4, del Regolamento demanda poi quindi un decreto del Ministro dell’interno (oggi il d.m. 1° ottobre 2010, n. 269) la definizione delle caratteristiche minime cui devono conformarsi il progetto organizzativo ed i requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi, nonché i requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dell’istituto e per lo svolgimento degli incarichi organizzativi.
Il rispetto delle previsioni del citato decreto del Ministro dell’interno 269/2010 è certificato dagli organismi di certificazione indipendente iscritti nell’elenco tenuto dal Ministero dell’interno. Il possesso della predetta certificazione di conformità, in quanto attestante la sussistenza dei requisiti fissati dalla disciplina di settore, è un requisito essenziale per il conseguimento in via definitiva della licenza e per il suo mantenimento.
La scelta dell’ordinamento di subordinare l’ingresso nel mercato della vigilanza privata a specifici e stringenti requisiti organizzativi e professionali, oggetto della suddetta certificazione, deriva dalla particolare natura dei servizi che gli operatori economici del settore sono chiamati a svolgere.
La normativa sopra richiamata ha quindi definito le tipologie di servizi demandati agli istituti di vigilanza privata e ha altresì individuato espressamente i casi in cui, per speciali esigenze di sicurezza, il servizio di vigilanza privata deve essere svolto dalle guardie giurate.
Ciò rileva in ordine ad uno dei temi di maggiore discussione sulla materia, vale a dire l’affidamento, da parte delle stazioni appaltanti, di servizi di portierato o global service in luogo del servizio di vigilanza privata, anche nei casi in cui la disciplina di settore imporrebbe il ricorso a quest’ultimo servizio.
Correttamente l’Autorità rileva che tale prassi si pone in contrasto con la disciplina di settore che, invece, impone nei casi indicati dall’art. 256-bis del Regolamento e dal decreto del Ministro dell’Interno 269/2010 il necessario ricorso alla vigilanza privata, stante la necessità di eseguire peculiari prestazioni a tutela di specifiche esigenze di sicurezza. Infatti le società di portierato, di global service e di servizi integrati, pur iscritte alla Camera di Commercio, invece, possono svolgere esclusivamente le attività indicate nel loro oggetto sociale, in quanto operanti senza le autorizzazioni ed i controlli cui invece sono soggetti gli istituti di vigilanza privata. Appare pertanto evidente che le caratteristiche che contraddistinguono la vigilanza privata dai servizi fiduciari escludono qualunque possibilità di assimilazione o fungibilità/sostituibilità della prima con i secondi.
Di qui il fermo richiamo dell’Anac alle stazioni appaltanti ad una attenta e scrupolosa applicazione delle disposizioni di legge, ed in particolare del d.m. n. 269/2010, che le tipologie di servizi demandati agli istituti di vigilanza privata ed i casi in cui, per speciali esigenze di sicurezza, il servizio di vigilanza deve essere svolto dalle guardie giurate, escludendo quindi la possibilità di affidare tali servizi alle società di portierato.
Le linee guida prendono anche in esame la consolidata prassi di alcune stazioni appaltanti di aggregare attività eterogenee in un’unica procedura, ciò che può condurre alla mancata distinzione tra i servizi per i quali è prevista l’apposita autorizzazione e quelli per cui la legge non impone particolari requisiti di idoneità. Qualora non siano richiesti in gara tali requisiti, vi è il rischio che alla procedura partecipino soggetti non vincolati né al possesso della licenza di cui all’articolo 134 Tulps, né al rispetto dei contratti di settore, con evidenti rischi per lo sviluppo di un corretto confronto competitivo.
A questo riguardo l’Autorità rileva che la stazione appaltante non solo ha l’onere di indicare nel bando di gara che il servizio di vigilanza privato non può essere svolto senza la necessaria licenza, ma deve anche verificare che all’atto della stipula del contratto di affidamento del servizio de quo il soggetto aggiudicatario possegga detta autorizzazione e la mantenga per tutta l’esecuzione del contratto.
L’Autorità non esclude che, per generare risparmi di spesa, possa essere conveniente per la stazione appaltante effettuare un’unica gara comprendente più servizi, quali la vigilanza armata, la custodia e il portierato, ma suggerisce di prevedere lotti distinti per ciascun servizio. In tal caso, rimane l’obbligo per la stazione appaltante di indicare dettagliatamente nei documenti di gara i singoli servizi richiesti, precisando in relazione a ciascuno di essi i requisiti necessari per la partecipazione alla gara e quelli necessari per l’esecuzione, ivi comprese le autorizzazioni.
Per giustificare la suddivisione in lotti, l’Autorità richiama espressamente l’art. 51 del Codice dei contratti che, al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, prevede espressamente che gli appalti siano suddivisi in lotti funzionali o in lotti prestazionali.
Un altro tema di cui l’Autorità si occupa – segnalato nel corso della consultazione pubblica – riguarda la circostanza che nelle procedure di gara per l’affidamento del servizio di vigilanza privata vengono spesso presentate offerte non remunerative e/o che non ne garantiscono l’effettiva qualità. Tra le cause del fenomeno viene in particolare indicata l’eccessiva competizione sul prezzo, determinata dall’affidamento secondo il criterio del prezzo più basso, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo.
Con riferimento a tale aspetto, le Linee guida rilevano che la scelta tra il criterio del minor prezzo e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo è ancorata alle caratteristiche dell’oggetto del contratto.
Viene ricordato il principio generale dell’art. 95, comma 3, del Codice, ai sensi del quale sono aggiudicati “esclusivamente” sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, tra gli altri, i contratti “relativi ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’articolo 50, comma 1”, del Codice, ossia quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto.
Il comma 4 dello stesso art. 95 individua, invece, i casi in cui è consentito l’utilizzo del criterio del minor prezzo, naturalmente per le sole ipotesi in cui il costo della manodopera fosse inferiore al 50% del valore dell’appalto. Qualora la stazione appaltante ritenga che sussistano le condizioni per l’applicazione del criterio del minor prezzo, l’Autorità prescrive che la stessa definisca puntualmente negli atti di gara le condizioni tecniche per l’esecuzione del servizio, redigendo un progetto completo e accurato e, al fine di prevenire comportamenti opportunistici sia in fase di offerta che in fase esecutiva.
Per il caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’’Autorità fa espresso riferimento alle proprie Linee guida in materia (le n. 2) e raccomanda alle stazioni appaltanti di prevedere criteri di valutazione tecnica che attengano alla qualità del progetto e non privilegino, invece, aspetti legati alla dimensione d’impresa.
Infine, l’Autorità si sofferma sull’importanza della verifica sulla congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta (art. 97 del Codice dei contratti) e sulla necessaria valutazione che il prezzo offerto sia idoneo a garantire il rispetto di tutti i costi attinenti al servizio previsto nel capitolato tecnico, tra cui il costo del personale, che deve essere dichiarato dall’impresa concorrente, ex art. 95, comma 10, primo periodo, del Codice.
L’ultimo tema preso in considerazione dalle Linee guida, riguarda la clausola sociale, di cui all’art. 50 del Codice dei contratti pubblici, ove si prevede che per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara inseriscono (non “possono inserire” come era scritto prima del correttivo) specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore.
Tale clausola opera nel caso di cessazione d’appalto e subentro di nuove imprese appaltatrici e risponde all’evidente esigenza di assicurare la continuità del servizio e dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario.
Sul punto l’Autorità richiama la costante giurisprudenza secondo cui tale clausola non va intesa come obbligo di totale riassorbimento dei lavoratori dell’appalto precedente. Essa va invece interpretata nel senso che il riassorbimento deve essere armonizzabile con l’organizzazione dell’impresa subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto, in modo da non attribuirle un effetto escludente. La clausola, pertanto, può essere inserita soltanto nel caso in cui il nuovo affidamento abbia ad oggetto il medesimo servizio per il quale è cessato l’appalto.
Per quanto riguarda specificatamente il servizio di vigilanza privata, il c.c.n.l. di categoria ha introdotto, a partire dal 1 febbraio 2013, una disciplina contrattuale cogente in materia di cambio appalto, stabilendone la relativa procedura.
Al fine di individuare la corretta applicazione della clausola sociale nelle procedure di gara per l’affidamento del servizio di vigilanza privata, l’Autorità rileva che la presenza di specifici obblighi in materia di assorbimento del personale determina la necessità di prevedere che nella documentazione di gara sia contenuta in maniera chiara ed espressa la clausola sociale, quale modalità di esecuzione dell’appalto.
Al riguardo, l’Autorità richiama il proprio costante indirizzo interpretativo, secondo il quale è opportuno che la stazione appaltante: a) dia alla clausola adeguata e autonoma evidenza, trasponendola in un articolo specifico rubricato “clausola sociale” o espressione equivalente; b) riporti una clausola di identico tenore nello schema di contratto; c) curi che gli operatori economici concorrenti dichiarino in sede di offerta di accettare le condizioni di esecuzione.
Nella documentazione di gara, inoltre, nell’ambito dei dati e informazioni utili alla definizione dell’oggetto dell’appalto, la stazione appaltante deve prevedere l’indicazione del personale che attualmente svolge il servizio, corredata dall’indicazione del livello, comprensivo di eventuali scatti di anzianità, e della retribuzione corrisposta al lavoratore.
Ciò in quanto il concorrente deve essere messo in condizione di conoscere, prima della presentazione dell’offerta, quali oneri assume con la partecipazione alla gara. L’indicazione nella documentazione di gara del personale impiegato nell’appalto e della relativa retribuzione costituisce inoltre un importante elemento per la valutazione dell’attendibilità dell’offerta, la cui sostenibilità è calcolata anche con riferimento al numero di personale uscente.
Dopo l’aggiudicazione, in caso di subentro di altro istituto di vigilanza nei medesimi servizi già oggetto del precedente appalto, il mancato rispetto della clausola sociale, costituendo la stessa modalità di esecuzione del contratto, potrà essere valutato dalla stazione appaltante al fine di verificare se l’appaltatore abbia commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione del contratto.
Con la delibera 15 maggio 2018, n. 27165, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è intervenuta sulla disciplina del rating di legalità, pubblicando un nuovo Regolamento che sostituisce integralmente la precedente versione approvata con delibera del 13 luglio 2016, n. 26166 .
Come noto, il rating di legalità, che trova la propria fonte primaria nell’art. 5-ter del d.l. n. 1/2012, conv. con l. n. 27/2012, è un sistema premiale per le imprese volto a certificare il possesso di determinati requisiti di qualità e di rispettabilità dell’azienda.
L’istituto – tuttora riservato alle sole imprese con fatturato non inferiore a 2 milioni di euro nell’anno antecedente a quello di richiesta del rating – trova prevalente applicazione nell’ambito dell’accesso al credito e nel contesto dei bandi di finanziamento europei. Esso tuttavia trova spazio anche nel campo dell’appaltistica pubblica.
Infatti il Codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016) ha assegnato al rating di legalità specifica rilevanza sotto due profili:
- nei servizi e nelle forniture, per la riduzione del 30% della garanzia provvisoria e di quella definitiva prestate in sede di partecipazione alla gara pubblica e di sua esecuzione (artt. 93, comma 7 e 103, comma 1);
- come criterio premiale che le stazioni appaltanti possono utilizzare nelle gare bandite con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95, comma 13).
Quanto alle principali modifiche introdotte dal nuovo regolamento, le prime riguardano i requisiti per l’attribuzione del rating di legalità (art. 2). Un primo ampliamento riguarda i soggetti sottoposti a controllo: la dicitura “procuratori speciali” di cui alla precedente versione viene modificata in “procuratori”, con la conseguenza che anche i procuratori generali devono essere oggetto delle verifiche sull’assenza di sentenze di condanna, applicazione della pena su richiesta, decreti penali di condanna, misure di prevenzione o cautelari comminate per la commissione dei reati elencati alla norma. Vi è anche un ampliamento fattispecie rilevanti in quanto vengo aggiunti anche i reati in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro di cui al d.lgs. n. 81/2008.
Nel caso di commissariamento ex art. 32, comma 1 o comma 10, del d.l. n. 90/2014, l’interdittiva al rilascio del rating di legalità viene limitata per un periodo corrispondente a quello del commissariamento. Nella versione precedente non era presente alcun parametro temporale.
Il comma 2, lett. f), dell’art. 3 viene modificato prevedendo che la premialità venga assegnata anche a fronte dell’adozione di clausole di mediazione facoltative nei contratti con i propri clienti; nella precedente versione, il riferimento riguardava i contratti tra “imprese e consumatori”.
Nella nuova versione, la legittimazione a chiedere informazioni all’impresa, in caso di incompletezza dell’istanza presentata, spetta solo all’Autorità Garante e non agli altri membri della commissione consultiva per il rilascio del rating.
Viene opportunamente ridotto il novero dei soggetti incaricati di pronunciarsi sulla domanda di rating, per cui l’AGCM si limita alla trasmissione dell’istanza all’Autorità Nazionale Anticorruzione e non più ai Ministeri dell’interno e della giustizia. I pareri ministeriali di cui al comma 3 bis, così come l’acquisizione di informazioni, diventano, di conseguenza, facoltativi.
Nella nuova versione del Regolamento viene eliminato l’obbligo di invio della domanda di rinnovo almeno 60 giorni prima della scadenza. Il rispetto di questa tempistica diventa opzionale e premiante, consentendo di mantenere la validità del rating in scadenza fino alla data in cui l’Autorità di pronuncerà sul rinnovo.
All’art. 6 è stato aggiunto un comma 4-bis, dedicato al caso in cui il rinnovo o il rilascio del rating sia avvenuto in assenza dei requisiti imposti dall’art. 2. In questi casi la norma prevede l’annullamento del rating.
Il comma 1 dell’art. 7 è stato integrato con un paragrafo nel quale si chiarisce che, a fronte di variazioni comunicate dall’impresa rispetto ai dati originariamente forniti per il rilascio del rating, l’Autorità provvede agli aggiornamenti necessari, dandone atto nell’elenco di cui all’art. 8. La norma precisa che queste variazioni non incidono sulla data di scadenza del rating.
Con riferimento all’elenco delle imprese con rating di legalità (art. 8), la norma è stata integrata precisando che la sezione del sito dedicata alle imprese cui il rating è stato revocato o annullato riporta l’indicazione di tale provvedimento fino alla data in cui sarebbe scaduto il rating o, comunque, per un periodo non inferiore ai sei mesi.