Guida pratica agli acquisti per i piccoli comuni non capoluogo
Stefano Usai
Quale procedura possono seguire i piccoli comuni non capoluogo di provincia per i propri acquisti che siano alternativi all’aggregazione? In questo articolo si approfondiranno e si passeranno in rassegna le possibilità operative concreti a disposizione della p.a.
La questione pratico-applicativa – nell’ambito dell’attività contrattuale – che si pone per i comuni non capoluogo si risolve, semplificando, con riferimento ai primi 5 commi dell’articolo 37 che ridisegnano l’ambito operativo di queste stazioni appaltanti con la previsione di “nuovi” modelli aggregativi in realtà già previsti nel comma 3-bis del pregresso articolo 33 del decreto legislativo 163/2006.
Da notare che in tema lo stesso Consiglio di Stato, con il parere 855/2016 espresso sullo schema di codice dei contratti, rilevava l’esigenza di stabilire la proroga della vigenza delle disposizioni pregresse introducendo un regime transitorio per favorire la definizione degli ambiti territoriali delle unioni dei comuni.
Si vedrà più avanti che dall’articolato meccanismo voluto dal legislatore – confermato anche in sede di comunicazioni dell’ANAC sopra richiamate – si possono individuare almeno 5 differenti ipotesi di azione per i comuni non capoluogo.
In sintesi, fermo restando quanto si dirà in seguito, il comune non capoluogo di provincia (con iscrizione all’anagrafe delle stazioni appaltanti) può:
1) procedere con appalto autonomo e diretto per importi inferiori ai 40 mila euro per beni e servizi applicando naturalmente gli strumenti imposti dalla legislazione spending review (mercato elettronico per importi pari o superiori ai mille euro) ed in difetto di questi finanche procedere con una “gara” tradizionale;
2) procedere con appalto autonomo per importi inferiori ai 150 mila euro per i lavori (gara tradizionale);
3) procedere – pur nel silenzio del codice e dell’ANAC ma precisato nella relazione tecnica che accompagna lo schema di codice dei contratti – senza limiti di importo con ordini diretti utilizzando strumenti di acquisto delle centrali di committenza (es. convenzioni Consip o altra centrale, accordi quadro che non richiedano negoziazioni) e con ordine diretto – ma in questo caso fino ai 40 mila euro – sul mercato elettronico;
4) procedere per importi pari o superiori ai 40 mila euro e per importi inferiori ai 209 mila euro (per servizi e forniture e servizi sociali per importi inferiori ai 750 mila euro) utilizzando gli strumenti di negoziazione delle centrali di committenza (MEPA) e, secondo la specifica introdotta (ma evidente) con il decreto legislativo correttivo n. 56/2017 al primo comma dell’articolo 37 del codice, anche dei soggetti aggregatori (quindi, ad esempio, RDO nel mercato elettronico ed altre forme con negoziazione);
5) procedere per importi pari o superiori ai 150 mila euro e importi inferiori ad un milione di euro per lavori di manutenzione utilizzando – se disponibili come preventivato dalla legge di stabilità – strumenti telematici di acquisto.
Fuori da queste ipotesi a queste stazioni appaltanti si impongo, per legge, i modelli aggregativi previsti nel comma 4 dell’articolo 37.