Incoerenze nei ritardi della riforma del Terzo settore
Maria Vella
L’attenzione per l’Economia sociale che, nel dibattito pubblico europeo tende a ricomprendere una molteplicità di diverse forme di impresa, diversamente definite a seconda delle esperienze nazionali (in Italia il Terzo settore), negli ultimi anni è costantemente cresciuta. Questo interesse, che si manifesta tanto a livello comunitario quanto dei singoli paesi, è il segnale di un clima sociale e politico sul quale hanno lasciato una traccia profonda l’ultima crisi finanziaria statunitense e l’onda lunga
delle recessioni che ne sono seguite.
Oggi, l’economia sociale in Europa è un movimento dinamico, diversificato ed imprenditoriale che è stato riconosciuto come un nuovo modello gestionale che unisce l’attività economica con quella sociale, attraverso la promozione della crescita inclusiva. Le istituzioni europee, ancora oggi, devono però affrontare due problemi strettamente correlati:
1. una definizione concettuale insufficiente e generica, che soffre della mancanza di riferimenti espliciti nei testi di base dell’UE (Trattato di Roma e Trattato di Maastricht). Tale definizione (se così si può chiamare), infatti, è basata sulla forma giuridica piuttosto che sulle attività realizzate e come anzidetto convive con una molteplicità di termini che complicano il raggiungimento di un consenso sulla designazione da utilizzare;
2. basi giuridiche carenti in ciascuno dei Paesi europei. A livello istituzionale e, soprattutto, nell’ultimo ventennio, questa economia ha svolto un ruolo anti-ciclico e resiliente rispetto agli altri segmenti tradizionali del mercato; ha continuato a dimostrare, infatti, di poter contribuire attivamente alla creazione di modelli e di organizzazioni innovative, più sensibili alle emergenti esigenze della società europea, per la sua capacità di saper coniugare lo sviluppo economico con quello sociale, anziché considerarli in rapporto gerarchico (lo sviluppo sociale come sottoprodotto di quello economico). Di conseguenza, così come emerge dalle pratiche di molti Paesi europei, queste organizzazioni sono state sempre più protagoniste e sostitute delle politiche pubbliche, assumendo un ruolo crescente per il raggiungimento di obiettivi che hanno conseguito nel tempo lo sviluppo occupazionale e quello sociale, rovesciando il rapporto tra mezzi e fini che caratterizzava l’impresa tradizionale: “l’obiettivo è stato, infatti, la creazione di valore sociale mentre l’equilibrio economico finanziario rimaneva il vincolo”.