La Cassazione sulla fecondazione post mortem
Renzo Calvigioni
Il ruolo dell’ufficiale di stato civile tra rettificazione dell’atto ed azione di stato
Il caso deciso dalla Corte di Cassazione civile, sez. I, con sentenza n. 13000 del 15 maggio 2019 è sicuramente piuttosto raro: al momento di rendere la denuncia di nascita, la donna che si presenta all’ufficiale dello stato civile, sostiene trattarsi di filiazione nel matrimonio, anche se il marito era deceduto da un anno e quattro mesi, dunque ben oltre i 300 giorni richiesti dall’art. 232 c.c. per poter presumere che la filiazione fosse avvenuta nel matrimonio.
Lei sostiene di aver fatto ricorso a procreazione medicalmente assistita all’estero, utilizzando il seme, sottoposto a tecniche di crioconservazione, del marito che aveva prestato il consenso anche all’utilizzo post morte e, pertanto, insiste per ottenere che fosse indicata la paternità e che il neonato avesse imposto anche il cognome del marito.
La donna, ricevuto il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile, vi si opponeva con ricorso in Tribunale e con successiva impugnativa in Corte di Appello, che emettevano decisioni a lei sfavorevoli, fino alla sentenza della Corte di Cassazione che, al contrario, accoglieva il ricorso: i giudici di merito hanno esaminato il ruolo e le competenze dell’ufficiale di stato civile sottolineandone i limiti, fino alla Suprema Corte che, con un orientamento particolarmente innovativo, non privo di incongruenze, ha rivisto le decisioni precedenti. Proviamo a ricostruire il percorso giudiziario ed approfondire la decisione della Suprema Corte che affronta il caso riconoscendo l’assoluta novità della situazione priva di precedenti.