Contro la criminalità organizzata
Emiliano Bezzon
Uscendo dalla stazione centrale di Milano, per raggiungere la piazza del Duomo si imbocca l’enorme viale che sembra tagliare in due la città; fino a qualche anno fa, come tutte le aree adiacenti le stazioni ferroviarie, si trattava di una zona degradata, poco frequentata e prevalentemente interessata dalla presenza di uffici e alberghi di quart’ordine.
Poi, soprattutto dopo expo 2015, è esploso il business del food e anche qui, come nel resto della città sono sorti locali, più o meno di successo. Alcuni di questi sono stati creati da star della televisione, diventando subito modaioli. Poi a questi ne sono subentrati altri, in una rotazione e proliferazione quasi vorticosa.
È tutto merito di chi ha saputo fare del food un fenomeno mediatico e imprenditoriale di straordinarie proporzioni? Certo, ma non solo.
È ormai abbastanza irrealistico pensare che dove ci sia molta ricchezza non ci si debba imbattere prima o poi nella criminalità organizzata.
I dati della direzione distrettuale antimafia di Milano dicono che almeno il 20% dei locali ha avuto a che fare “consapevolmente” con la criminalità organizzata di stampo mafioso.
Non si tratta più solo di rapporti subiti, sotto forma di taglieggiamento o richiesta di pizzo per le protezioni. Ora la criminalità organizzata entra attivamente nel business acquisendo e gestendo direttamente i locali, anche quelli più alla moda.
Perché questo avviene?
Per ripulire i proventi di affari meno leciti, attraverso le cosiddette “lavatrici” come possono essere appunto pubblici esercizi, ma non solo.
Alla criminalità organizzata – è sempre la Direzione Distrettuale Antimafia a dirlo – interessa sviluppare contatti di alto livello, in ogni settore e i locali alla moda sono uno strumento efficacissimo.
Infine, ma non da ultimo, la titolarità e la gestione di attività di somministrazione e ristorazione genera posti di lavoro: questo consente di ricompensare o sostenere familiari di affiliati detenuti e, a questi ultimi, di ottenere benefici carcerari potendo beneficiare di un posto di lavoro regolarissimo, fuori dal carcere.
E in tutto questo la polizia locale che c’entra? Poco o nulla, apparentemente, moltissimo sostanzialmente.
Poco più di un anno fa, ho girato tutti i capoluoghi di provincia del veneto come relatore in una serie di seminari organizzati dalla regione sul tema del ruolo delle polizie locali contro la criminalità organizzata. Assieme a me, ottimi colleghi come il commissario Marco Luciani della polizia locale di Milano, raccontavano la propria esperienza in attività di polizia giudiziaria di elevato livello. Io, in maniera complementare a loro, mi sono limitato a evidenziare quale e quanta sia la capacità informativa del le polizie locali (tutte, anche le più piccole) e quanto poco il patrimonio informativo sia utilmente impiegato, anche a fini investigativi.
Ma torniamo a Milano, in via Vittor Pisani e precisamente nella pizzeria “da Michele”; meglio dire in quella che per molto tempo è stato un locale molto frequentato e che adesso è stato chiuso dalla Procura della Repubblica, proprio perché risultato appartenere di fatto a esponenti di spicco della criminalità organizzata.
E la polizia locale?
La polizia locale è quella che ha dato avvio a tutto.
Da una relazione degli uomini della polizia annonaria e commerciale del corpo di Milano si è sviluppata l’attività investigativa che ha portato a sferrare l’ennesimo colpo alla ndrangheta milanese. Non mi pare poco. M pare anzi un esempio straordinario di come fare oggi modernamente ed efficacemente polizia locale non significhi inventarsi cose nuove, per compiacere alle smanie personali degli appartenenti al corpo o dei politici di turno. Occorre invece riacquisire piena consapevolezza delle proprie capacità informative (potremmo dire anche investigative) mettendo a frutto l’enorme patrimonio posseduto.
Le banche dati della polizia municipale e degli altri servizi comunali sono una ricchezza conoscitiva preziosissimo, a partire dall’anagrafe. Se poi ci si aggiungono quelle delle aziende partecipate che erogano i servizi, soprattutto nelle grandi città e i database dei sistemi di videosorveglianza o accertamento infrazioni da remoto …
Quanti oggi hanno pensato di dotarsi di soluzioni informatiche in grado di incrociarne i dati?
A prescindere da ciò, che potrebbe non essere alla portata di molti, è importante cambiare la mentalità operativa: occorre abbandonare la logica adempimentale, che limiterebbe alla verifica del rispetto formale delle diverse norme di legge e regolamentari per addivenire a un approccio di controllo sostanziale, focalizzando l’attenzione, nella successiva analisi delle informazioni acquisite, sugli aspetti che pur concretizzando regolarità formale, possono evidenziare delle anomalie, in primis i mutamenti degli assetti proprietari.
Poi ci si ferma, ma invece che mettere tutto in un polveroso faldone da riaprire solo in caso di contenzioso, si produce un’informativa ad altri organi di polizia giudiziaria o direttamente alla procura della repubblica.
Meglio inviare una relazione che non serve a nulla, piuttosto che rischiare di non inviare una relazione che potrebbe contenere elementi di grande utilità e pregio investigativo.
Anche sul piano della gratificazione professionale credo sia più rilevante aver partecipato, magari dandogli il via, a un’attività di ampio respiro e di elevato impatto come quelle citata a esempio, piuttosto che investire tempo e risorse per sequestrare qualche grammo di sostanza stupefacente.
Lo stesso si può dire anche per la rilevanza mediatica data al lavoro di polizia locale. Nel caso citato, tutti i media hanno messo in evidenza che il tutto è partito dalla polizia locale del capoluogo lombardo.
Allora la risposta alla domanda se la polizia locale abbia un ruolo nel contrasto alla criminalità organizzata è sicuramente affermativa: a mio modesto avviso, a differenza di quanti troppo ambiziosamente pensano che occorra specializzarsi, creare nuclei etc.…io semplicemente ritengo che occorra fare sempre meglio quello che da sempre si fa, con una visione meno adempimentale e più curiosamente orientata ad acquisire informazioni, oltre a verificare il rispetto delle norme.