Subappalto: la procedura di infrazione avviata dalla Commissione UE
Alessandro Massari
La Commissione Europea ha aperto la procedura di infrazione n. 2018/2273 per molteplici violazioni delle direttive comunitarie da parte del vigente Codice dei contratti pubblici, non limitate questa volta ai soli vincoli del subappalto
Dopo la prima lettera di contestazione della Direzione generale del mercato interno del 23.3.2017, relativa ai limiti del subappalto italiano fissati dall’art. 105, comma 2, del Codice, e a seguito del mancato adeguamento dello Stato italiano in sede di approvazione del decreto correttivo, è stata formalmente aperta dalla Commissione Europea la procedura di infrazione n. 2018/2273 per molteplici violazioni delle direttive comunitarie da parte del vigente Codice dei contratti pubblici, non limitate questa volta ai soli vincoli del subappalto.
Con lettera della Commissione Europea del 24 gennaio 2019, indirizzata al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, si evidenzia la “mancata conformità del quadro giuridico italiano alle direttive del 2014 in materia di contratti pubblici, vale a dire la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali”.
In particolare, la Commissione ha individuato disposizioni non conformi in diversi articoli del Codice e nell’articolo 16, comma 2-bis, del d.P.R. 380/2001 (t.u. edilizia). I punti controversi vanno dai criteri di calcolo del valore dell’appalto, alle cause di esclusione (requisiti generali), dai limiti previsti per l’avvalimento e per il subappalto, all’esclusione automatica delle offerte anomale.
Il Governo è tenuto a trasmettere le sue osservazioni entro due mesi dal ricevimento della lettera di costituzione in mora. Ai sensi dell’art. 258 del TFUE “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell›Unione europea”.
Circa la violazione di norme riguardanti il calcolo del valore stimato degli appalti, la questione riguarda il caso dell’appalto suddiviso in lotti. La Commissione UE ha sottolineato che i commi 9 e 10, dell’art. 35 del Codice, laddove prevedono che il valore dell’appalto è dato dal “valore complessivo stimato della totalità di tali lotti”, hanno aggiunto, rispetto al testo della direttiva, che tale criterio si applica quando l’appalto “può dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti” e non anche nel caso di aggiudicazione non contemporanea dei diversi lotti.
La Commissione osserva che, aggiungendo la qualifica “contemporaneamente”, la normativa italiana sembra aver ristretto l’applicabilità dell’obbligo di computare il valore complessivo stimato della totalità dei lotti. Pertanto la Commissione conclude che l’articolo 35, comma 9, lettera a), e l’articolo 35, comma 10, lettera a), del decreto legislativo 50/2016 violano l’articolo 5, paragrafo 8, primo comma, e l’articolo 5, paragrafo 9, primo comma, della direttiva 2014/24/UE nonché l’articolo 16, paragrafo 8, primo comma, e l’articolo 16, paragrafo 9, primo comma, della direttiva 2014/25/UE.
Analogo rilievo è stato formulato con riguardo alla disciplina delle opere di urbanizzazione di cui all’art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. 380/2001, il quale dispone che l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, di importo inferiore alla soglia UE, funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e “non trova applicazione il Codice dei contratti pubblici”. La questione si collega, anche in questo caso, all’eventuale presenza di lotti distinti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria: in altri termini, la deroga al Codice si applica tenendo conto solo del valore di ciascun lotto, ovvero della totalità dei lotti nei quali è suddiviso l’intervento di realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, facendo applicazione dell’art. 35, comma 9 del Codice? La questione, che si ricollega anche all’interpretazioni non conforme fornita dall’ANAC nella delibera n. 206/2018 (di aggiornamento delle linee guida n. 4) dovrebbe essere presto superata, anche alla luce del parere del Consiglio di Stato (n. 2942/2018) e della preannunciata volontà di intervenire sulla delibera ANAC contestata.
Sui motivi di esclusione di cui all’art. 80 del Codice, due sono le violazioni rilevate. Va tuttavia subito segnalato che la non conformità della disciplina dei gravi illeciti professionali di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) è stata già superata dal recente intervento da parte del decreto semplificazione (d.l. 135/2018, appena convertito), il quale ha operato un pieno allineamento al testo dell’art. 57, par. 4, lett. c) e g) della direttiva 2014/24 e dell’articolo 38, par. 7, lett. f), della direttiva 2014/23/UE. In particolare, oltre alla scomposizione dei gravi illeciti professionali in fattispecie autonome, come prevedono le direttive, è stato rimosso il riferimento alla mancata contestazione in giudizio della risoluzione anticipata o alla sua conferma all’esito del giudizio. Ha osservato infatti la Commissione UE che nel caso di offerenti che abbiano contestato in giudizio la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto o concessione, si preclude alle stazioni appaltanti ogni valutazione circa l’affidabilità di tali offerenti sino a quando il giudizio non abbia confermato la risoluzione anticipata.
La seconda violazione riscontrata dalla Commissione in tema di motivi di esclusione, è relativa alle modalità di accertamento delle irregolarità fiscali e contributive. Come noto, l’articolo 80, comma 4, consente l’esclusione del concorrente solo se questo ha commesso violazioni gravi, “definitivamente accertate”, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali; costituiscono “violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”. Tuttavia l’art. 57, par. 2, primo e secondo comma, della direttiva 2014/24/UE (e, analogamente, l’art. 38, par. 5, primo e secondo comma, della direttiva 2014/23/UE), prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono parimenti escludere se dimostrano, “con qualunque mezzo adeguato, che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali.” Secondo la Commissione UE, dunque, l’articolo 80, comma 4, del Codice non è conforme alle suddette disposizioni della direttiva 2014/23/UE e della direttiva 2014/24/UE in quanto non consente di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione – pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo – possa essere comunque adeguatamente dimostrata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore.
Si passa poi alla infrazione di maggiore rilevanza e risonanza – già oggetto di un precedente richiamo da parte della Direzione Generale del Mercato Interno (lettera del 23.3.2017) – costituita dai vincoli sul subappalto, e, in particolare, dalla quota massima del 30% e dall’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori. Vincoli, che, come noto, rispondono a valutazioni nazionali di ordine pubblico economico e in funzione di contrasto a fenomeni di infiltrazione criminosa.
La Commissione rileva che nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto. Conformemente a tale approccio, l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE consente alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere (la stessa impostazione si ritrova nell’articolo 79, par. 3, della direttiva 2014/25/UE.
Nei considerandi delle direttive si chiarisce che uno degli obiettivi di questa disposizione è proprio quello di facilitare la partecipazione delle PMI. Pertanto, secondo la Commissione – occorre concludere che la normativa italiana viola il diritto UE in quanto essa limita il ricorso al subappalto in tutti i casi, e non solo nei casi in cui una restrizione del subappalto sia oggettivamente giustificata dalla natura delle prestazioni dedotte in contratto. La suddetta conclusione è confermata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (14 luglio 2016, C406/14) la quale ha già statuito che una clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale delle prestazioni di cui si tratta, è incompatibile con la direttiva 2004/18/CE.
La procedura di infrazione sulle limitazioni all’istituto del subappalto era peraltro già stata prefigurata dal Consiglio di Stato nel parere reso sul decreto correttivo (parere della Comm. spec. n. 782/2017), il quale, pur non ignorando la giurisprudenza comunitaria, aveva peraltro difeso i limiti nazionali, osservando come “il Governo ben potrebbe scegliere “l’opzione zero” ossia di non intervenire sulla scelta di fondo già operata dal Codice, difendendo la scelta italiana in sede di eventuale procedura di infrazione (ove essa venisse avviata dalla Commissione europea, a seguito della denuncia formalizzata da ANCE), e se del caso modificando in un secondo momento la norma de quo, a seguito di una eventuale condanna in sede comunitaria”. La questione dovrà essere ora necessariamente affrontata davanti alla Commissione in sede di risposta alla lettera di messa in mora, ed eventualmente alla Corte di giustizia UE, laddove il Governo – come pare verosimile – intenda difendere strenuamente le scelte normative nazionali.
Anche l’obbligo della terna dei subappaltatori finisce sotto la scure della Commissione. La Commissione ritiene che, sebbene l’articolo 71, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE preveda che le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere agli operatori di indicare nelle loro offerte “i subappaltatori proposti”, una disposizione quale l’articolo 105, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, che obbliga gli offerenti ad indicare sempre tre subappaltatori, anche qualora all’offerente ne occorrano meno di tre, viola il principio UE di proporzionalità di cui all’articolo 18, paragrafo 1 della direttiva 2014/24/UE. Inoltre, soggiunge la Commissione, la disposizione di cui all’articolo 105, comma 6, del Codice è resa ancor più sproporzionata dal fatto che, in base al testo di detta disposizione e come confermato dai fatti della causa C-395/1834, l’articolo 105, comma 6, del Codice viene interpretato e applicato dalle Autorità italiane nel senso che gli operatori sono obbligati ad indicare nelle loro offerte una terna di subappaltatori anche quando, in realtà, essi non intendono fare ricorso a nessun subappaltatore.
Alla luce della massima latitudine applicativa dell’istituto del subappalto affermata dalla Commissione, si comprendono anche le ulteriori censure mosse rispetto al divieto di subappalto a cascata stabilito dall’art. 105, comma 19, del Codice, per il quale “L’esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di ulteriore subappalto”.
L’articolo 71, par. 5, quinto comma, della direttiva 2014/24/UE (e, nello senso l’art. 88, par. 5, quinto comma, della direttiva 2014/25/UE e l’articolo 42, par. 3, quarto comma, della direttiva 2014/23/UE) recita: “Le amministrazioni aggiudicatrici possono estendere o possono essere obbligate dagli Stati membri a estendere gli obblighi previsti al primo comma, [cioè l’obbligo di indicare alle amministrazioni aggiudicatrici nome, recapito e rappresentanti legali dei subappaltatori] ad esempio: […] b) ai subappaltatori dei subappaltatori del contraente principale o ai subappaltatori successivi nella catena dei subappalti”.
Da tali disposizioni, nonché dall’obbligo di rispettare i principi di proporzionalità e parità di trattamento risulta che gli Stati membri non possono imporre ai subappaltatori un divieto generale e universale di fare a loro volta ricorso ad altri subappaltatori.
Anche l’istituto dell’avvalimento, quale modello collaborativo tra operatori economici, similmente al subappalto, è oggetto di analoghe censure della Commissione. Vengono contestati, in particolare, sia il divieto di avvalimento “a cascata” (art. 89, comma 6 del Codice), sia il divieto che della stessa impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente, ovvero che partecipino sia l’impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti (art. 89, comma 7) e, infine, il divieto di avvalimento per le SIOS (art. 89, comma 11). La ratio di tali limitazioni è evidentemente analoga a quelle previste per il subappalto.
Infine, la disciplina delle offerte anomale: la Commissione osserva che la disposizione di cui all’articolo 97, comma 8, del Codice non è conforme alle direttive, sia perché non definisce una soglia di interesse transfrontaliero superata la quale l’esclusione automatica non può essere ammessa (nel previgente Codice De Lise tale soglia era stata fissata dall’art. 122, comma 9, in un milione di euro), sia perché la soglia di dieci offerte non sembra essere sufficientemente elevata, in particolare con riferimento alle grandi amministrazioni aggiudicatrici (la soglia di dieci offerte si applica a tutte le amministrazioni aggiudicatrici, a prescindere dalle loro capacità amministrative).
La procedura di infrazione avviata dalla Commissione UE conferma ancora una volta la distanza significativa che esiste – non solo sul piano tecnico-giuridico ma soprattutto “culturale” – tra il diritto interno e il diritto comunitario, (con particolare riguardo, come si è visto, ai moduli collaborativi tra operatori economici quali il subappalto e l’avvalimento).
Su alcuni temi di particolare rilevanza, come il subappalto e l’avvalimento è lecito attendersi una motivata opposizione del Governo (anche alla luce delle valutazioni espresse dal Consiglio di Stato) e quindi con rinvio alla sentenza della Corte di giustizia UE.
E non si può escludere che le altre questioni possano essere affrontate dall’annunciato nuovo Codice. Il disegno di legge delega ha iniziato il suo iter parlamentare.