Matrimonio di culti ammessi o disciplinati da intese
Renzo Calvigioni
un caso di mancata trascrizione
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 6511/2020 del 9 marzo 2020 ha accolto il ricorso contro la decisione della Corte di Appello di Messina, riconoscendo come legittima la richiesta degli interessati che intendevano far trascrivere nei registri di stato civile il matrimonio celebrato secondo un culto ammesso nello Stato. Il decreto impugnato faceva confusione tra matrimonio avvenuto secondo il rito di un culto disciplinato da intesa tra lo Stato e la specifica confessione religiosa e matrimonio celebrato con il rito di un culto ammesso nello Stato: si tratta di una differenza fondamentale che suggerisce un approfondimento dell’ordinanza della Cassazione.
Il caso: la trascrizione di un matrimonio avvenuto nel 1980
Una coppia aveva contratto matrimonio secondo il rito dei Testimoni di Geova in data 23/7/1980 in un comune in provincia di Messina, chiedendo al Tribunale di Patti che fosse dichiarata la legittimità di tale matrimonio ed ordinata la trascrizione all’ufficiale di stato civile: il Tribunale aveva respinto il ricorso, ma la coppia aveva proposto reclamo in Corte di Appello contro il decreto del Tribunale al fine di ottenere comunque la trascrizione dell’atto o, almeno, una certificazione sostitutiva, attestante il matrimonio e la validità ed efficacia anche secondo il nostro ordinamento. La Corte di Appello di Messina aveva respinto il reclamo, dichiarando che il matrimonio celebrato con il rito dei Testimoni di Geova non era trascrivile in quanto privo di effetti per il nostro ordinamento, sostenendo la mancanza di una “intesa” tra la Repubblica Italiana e la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova, così come previsto dall’art 8 della Costituzione. In realtà un’intesa era stata raggiunta in diverse occasioni e, l’ultima volta, nel 2007, ma non aveva avuto il seguito necessario non essendo stata approvata con legge statale. Di conseguenza, non essendo intervenuta alcuna intensa con legge dello Stato, secondo la Corte di Appello il matrimonio non poteva essere trascritto né poteva acquisire effetti civili. Tale decisione venne impugnata con ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione e falsa applicazione della legge 1159/1929, del r.d 289/1930, della legge 385/1949 (contente il “Trattato di Amicizia Italia-USA”), dell’art. 83 c.c.: viene precisato che per l’efficacia e trascrizione del matrimonio dei Testimoni di Geova non è necessaria l’esistenza di una “intesa” tra tale confessione religiosa e lo Stato Italiano, essendo sufficiente l’applicazione delle disposizioni che disciplinano i matrimoni dei culti ammessi nello Stato, disciplina contenuta, appunto, nella legge 1159/1929 e nel relativo regolamento di attuazione r.d. 289/1930 e, dunque, si poteva procedere secondo richiesta degli interessati. Non solo, ma viene anche sostenuto che il rifiuto della trascrizione, basato sulla mancanza di una “intesa” non necessaria, rappresenta una evidente discriminazione nei confronti di coloro che appartengono a tale confessione religiosa, in contrasto con la nostra Costituzione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, in quanto risulterebbe consentita l’ingerenza nella vita personale e familiare dei singoli da parte delle autorità statali. La Corte di Cassazione I^ Sez. Civ., è chiamata a decidere il ricorso contro la mancata trascrizione di una matrimonio celebrato secondo il rito della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova nel quale è necessario stabilire se, al fine di procedere alla trascrizione del matrimonio e riconoscerne l’efficacia secondo il nostro ordinamento, sia necessaria un’intesa tra lo Stato Italiano e tale confessione o se, invece, sia sufficiente l’applicazione delle norme che disciplinano i culti ammessi nello Stato[1]: al fine di comprendere le diverse situazioni, è opportuno approfondire le diverse ipotesi in esame.
Ricordiamo che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica sono tutelati dall’art. 8 Cost. che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose: queste potranno organizzarsi secondo i propri statuti, a condizione che non contrastino con l’ordinamento statale. Il principio doveva essere quello di regolare i rapporti con intesa, “… avrebbe dovuto costituire la forma principale di rapporto con le confessioni non cattoliche, in realtà è stato attuato solamente a partire dalla metà degli anni ‘80 e riguarda alcune delle varie confessioni presenti in Italia. Attualmente, la disciplina riguardante le confessioni non cattoliche presenti in Italia è diversa a seconda che queste abbiano o meno proceduto alla stipulazione di una intesa con lo Stato.[2]”…