Miti e riti dell’autonomia scolastica
Gian Carlo Sacchi
Il centralismo autoritario del nostro sistema scolastico ha origine con la legge Casati del 1859 che ha imposto uno schema gerarchico (ministro – direttore generale – provveditore agli studi – preside) che è ben lontano dall’essere superato. Il trittico: leggi – regolamenti – circolari, che con nomi leggermente diversi continua a governare, faceva della scuola una branca dell’amministrazione. La responsabilità del render conto al ‘superiore ministero’ lasciava un’ampia discrezione alla burocrazia, ben più forte dei transeunti ministri. La ‘conformità alle norme’ ha imposto alla scuola l’osservanza dei regi decreti gentiliani dal 1923-24 fino al 1974-75, compresa la ‘fascistizzazione’ della stessa. Gli insegnanti venivano nominato dal re e agivano per conto di chi dominava lo Stato. Nel 1911 con la legge Daneo-Credaro venne statalizzata la scuola elementare, in quanto i Comuni non sembravano in grado di offrire un servizio omogeneo su tutto il territorio nazionale. La scuola materna statale, istituita nel 1968, assorbiva l’iniziativa intrapresa dagli enti locali, da soggetti associativi e privati. Il dibattito politico fu da sempre favorevole all’autonomia dell’offerta; i servizi per l’infanzia testimoniano il mantenimento del pluralismo dell’iniziativa educativa giunto fino a noi attraverso ‘percorsi integrati’ (d.lgs. 65/2017), ma di fatto l’amministrazione scolastica continua a esserne il riferimento. La Costituzione non attribuisce allo Stato la funzione di educatore, ma quella di rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pieno sviluppo della persona umana; è la Repubblica che detta ‘nome generali’ sull’istruzione, istituisce scuole di ogni ordine e grado e alle Regioni assegna la formazione artigiana e professionale. Ai genitori spetta il compito di istruire ed educare i figli, ai docenti viene riconosciuta la libertà di insegnamento. Le scuole, in forza del principio istitutivo statale e dell’unità nazionale, rimasero sottomesse al centro, anche al fine di contrastare, dissero alcuni, la disgregazione municipalistica e anarcoide. Le modifiche apportate all’ordinamento vennero estese a tutte le scuole della Repubblica e quindi considerate norme generali; la riforma del Titolo V del 2001 ripropose queste norme generali tra i compiti dello Stato nazionale.