Nuova legge per i piccoli comuni: sostegno, valorizzazione e riqualificazione
Michele Deodati
I piccoli comuni, per quanto afflitti da innumerevoli disagi e carenze di servizi, rappresentano un patrimonio di inestimabile valore. Mettere in sicurezza il territorio, recuperare spazi, riqualificare strutture e ambienti è la ricetta della legge n. 158/2017, destinata al rilancio dei borghi rurali e montani. Per riportare, assieme al turismo, servizi adeguati e nuovi residenti.
Finalità e requisiti di accesso ai benefici (art. 1)
Con il varo della legge 6 ottobre 2017, n. 158, per i piccoli comuni si apre una stagione improntata al sostegno economico, alla valorizzazione delle risorse locali e alla riqualificazione dei centri storici. Rientrano in questa categoria i municipi con popolazione residente fino a 5.000 abitanti, che rappresentano circa 2/3 dei comuni italiani. Una miriade di realtà disseminate in tutta la Penisola, che spesso racchiudono buona parte del patrimonio di tradizioni ed eccellenze in campo culturale, artistico, paesaggistico ed enogastronomico, e che fanno dell’Italia una delle mete più ambite per il turismo emozionale proveniente da tutto il mondo. Purtroppo però, ai considerevoli vantaggi in termini di qualità della vita offerti dai ritmi lenti e più a misura d’uomo, le aree marginali sono spesso afflitte da non poche criticità, legate soprattutto alla cattiva manutenzione del territorio, allo spopolamento dei nuclei urbani, al conseguente venir meno dei servizi pubblici e commerciali, ai problemi di spostamento, fino al punto da mettere in seria difficoltà la popolazione locale.
Per fronteggiare questi problemi e favorire il rilancio delle aree marginali, la l. n. 158 introduce una serie di misure di sostegno, indirizzate ai comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, a cui si aggiungono i nuovi comuni nati da fusioni tra preesistenti comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti. Per poter beneficiare dei finanziamenti previsti, i territori che possiedono questi requisiti devono però rientrare in una di queste tipologie:
- comuni collocati in aree interessate da fenomeni di dissesto idrogeologico;
- comuni caratterizzati da marcata arretratezza economica;
- comuni nei quali si è verificato un significativo decremento della popolazione residente rispetto al censimento generale della popolazione effettuato nel 1981;
- comuni caratterizzati da condizioni di disagio insediativo, sulla base di specifici parametri definiti in base all’indice di vecchiaia, alla percentuale di occupati rispetto alla popolazione residente e all’indice di ruralità;
- comuni caratterizzati da inadeguatezza dei servizi sociali essenziali;
- comuni ubicati in aree contrassegnate da difficoltà di comunicazione e dalla lontananza dai grandi centri urbani;
- comuni la cui popolazione residente presenta una densità non superiore ad 80 abitanti per chilometro quadrato;
- comuni comprendenti frazioni con le caratteristiche di cui alle lettere a), b), c), d), f) o g); in tal caso, i finanziamenti disposti ai sensi dell’articolo 3 sono destinati ad interventi da realizzare esclusivamente nel territorio delle medesime frazioni;
- comuni appartenenti alle unioni di comuni montani di cui all’articolo 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, o comuni che comunque esercitano obbligatoriamente in forma associata, ai sensi del predetto comma 28, le funzioni fondamentali ivi richiamate;
- comuni con territorio compreso totalmente o parzialmente nel perimetro di un parco nazionale, di un parco regionale o di un’area protetta;
- comuni istituiti a seguito di fusione;
- comuni rientranti nelle aree periferiche e ultraperiferiche, come individuate nella strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese, di cui all’articolo 1, comma 13, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Si tratta, in alcuni casi, di criteri basati su indicatori e parametri la cui definizione è rimessa ad un successivo decreto del Ministero dell’interno, da adottare di concerto con gli altri Ministeri competenti entro 120 giorni dall’entrata in vigore della l. n. 158. L’elenco dei piccoli comuni sarà invece contenuto in un d.P.C.M. da adottare nei 60 giorni successivi all’adozione del primo decreto. L’aggiornamento dell’elenco avverrà su base triennale con le stesse modalità.
In sede di prima applicazione, il calcolo della popolazione sarà riferito ai dati risultanti dall’ultimo Censimento generale, avvenuto nel 2011. L’avvento della crisi economica, che negli ultimi anni si è abbattuta sulle realtà marginali con forza sempre maggiore, ci consegna un’Italia completamente diversa da quella risultante nella fotografia scattata dall’ISTAT circa sette anni fa. Il primo e più rilevante indicatore del diffuso peggioramento delle condizioni socioe-conomiche, è proprio il calo demografico, che in queste aree è stato consistente. Non saranno dunque pochi i comuni che si trovano da tempo al di sotto della soglia di accesso, fissata a 5.000 abitanti, ma che all’epoca dell’ultimo Censimento erano collocati sopra tale quota. Questa “sfasatura” rischia di condizionare la programmazione degli aiuti nel periodo di prima applicazione, mentre a regime, l’aggiornamento dei dati della popolazione residente avverrà a cadenza triennale, sulla base delle rilevazioni ISTAT.
Per promuovere e favorire il sostenibile sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, le regioni possono prevedere interventi ulteriori rispetto a quelli della legge n. 158. anche al fine di concorrere all’attuazione della strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese (articolo 1, comma 13, legge 27 dicembre 2013, n. 147). Per questi scopi, tenuto conto delle proprie specificità territoriali, le regioni possono prevedere ulteriori tipologie di comuni rispetto a quelle individuate al comma 2 dell’art. 1. Inoltre, il richiamo all’intero comma 2 citato, che in aggiunta alla definizione delle caratteristiche socio-economiche e ambientali dei territori reca anche il riferimento alla soglia dei 5.000 abitanti, lascia supporre che le Regioni potranno estendere i benefici a comuni sopra questa soglia. Tuttavia, è previsto il rispetto di una clausola di invarianza finanziaria, in quanto dall’attuazione dell’art. 2 non devono derivare oneri a carico della finanzia pubblica.
A destare perplessità è anche la scelta di limitare gli interventi finanziabili alle sole frazioni, quando queste ultime possiedono le caratteristiche di cui alle lettere a), b), c), d), f) o g) più sopra illustrate. Concentrando i benefici solo ed esclusivamente a vantaggio delle frazioni, si rischia di penalizzare fortemente i territori in cui il divario tra Capoluogo e frazioni è ormai talmente accentuato da rendere improduttivo qualsiasi intervento di qualificazione che non interessi anche il Capoluogo, che spesso, per comodità di collegamento o maggiore dotazione di servizi, gioca un ruolo logistico indispensabile per innescare una ricaduta positiva anche per le frazioni.