Montanari per necessità: nuovi e vecchi abitanti stranieri nelle Alpi italiane
Andrea Membretti e Clara Raffaele Addamo
L’immigrazione al cuore dell’Europa
Le Alpi italiane, per la loro centralità geografica a livello europeo (centralità “riscoperta” di recente dalla strategia EUSALP, realizzata dalla UE), rappresentano un oggetto di studio molto peculiare, anche in ragione del crescente numero di cittadini stranieri che le vanno popolando. Questa presenza, proveniente da Paesi extra UE così come dai nuovi membri dell’Unione, ha molteplici sfaccettature: è, al contempo, fattore di mutamento, elemento di spinta verso la resilienza delle comunità locali, ma per altri versi anche minaccia potenziale alla coesione sociale e a ciò che permane delle tradizioni e delle identità territoriali, in ambiti già provati da decenni di crisi demografica e socioculturale (Membretti, Kofler, Viazzo 2017).
Come evidenziato da alcuni studiosi del fenomeno dell’immigrazione straniera nelle Alpi (tra cui: Perlik, Membretti, 2018; Goodson et al., 2017), la maggior parte di coloro che emigrano a causa della povertà o delle persecuzioni subite nei rispettivi Paesi d’origine non cerca “volontariamente” o “principalmente” le zone di montagna come rifugio o destinazione ma piuttosto, per
diverse ragioni, sono spinti o attratti ad insediarvisi. È possibile allora operare una classificazione distinguendo tre gruppi di migranti, rilevanti per le zone montane: migranti per scelta, migranti per necessità e migranti per forza.
I migranti per scelta, in letteratura spesso chiamati amenity migrants o anche life-style migrants (Moss e Glorioso, 2004), provengono per lo più dalla città: si tratta essenzialmente di italiani (giovani ma anche pensionati) insoddisfatti della quotidianità cittadina, con risorse economiche e culturali significative, che cercano in montagna un nuovo stile di vita a contatto con l’ambiente naturale. In questa categoria, gli stranieri presenti non sono provenienti da Paesi a forte pressione migratoria, ma piuttosto da altre regioni ricche europee (Membretti, Viazzo 2017; Barbera, Dagnes, Membretti 2018). Una seconda categoria è quella dei migranti per necessità, per lo più invece stranieri da Paesi poveri, in cerca di soluzioni abitative più accessibili rispetto a quelle urbano-metropolitane e di occasioni lavorative, offerte nel turismo, nei servizi e nel settore agro-silvopastorale. Recentemente, infine, si è delineata una categoria nuova, costituita da richiedenti asilo e rifugiati, dislocati forzosamente nelle terre alte per lunghi periodi di tempo, in relazione a programmi e progetti di ricollocamento dalle città verso le aree interne e montuose: questa categoria è stata dunque definita come montanari per forza (Dematteis, Di Gioia, Membretti 2018).
Già nel 2015, in seno al seminario organizzato dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano Bicocca e dall’associazione Dislivelli di Torino sull’“Immigrazione straniera nelle montagne italiane”, sociologi, antropologi, giornalisti, progettisti, amministratori locali, dirigenti di cooperative e operatori sociali – provenienti in larga parte dall’area alpina
– si erano confrontati sul ruolo dei migranti per necessità nella montagna italiana (Dislivelli.eu, 2016). Questo fenomeno migratorio, le cui origini risalgono già alla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, si andava manifestando in contesti fortemente destabilizzati da decenni di spopolamento, di crisi delle economie tradizionali e in alcuni territori alpini di riconversione
(spesso drammatica per impatto socioculturale e ambientale) al modello turistico di matrice urbana.