Pandemia ora che vai via …
Emiliano Bezzon
L’esibizione all’ultima edizione del Festival di Sanremo di Luca Medici in arte Checco Zalone ha, come spesso accade, suscitato reazioni contrastanti. La capacità e il coraggio di ironizzare su un tema che ha generato profonde sofferenze e sacrifici (e ancora continua a farlo) è forse il segno più forte della voglia di voltare finalmente pagina. Epidemiologi, virologi, infettivologi e immunologi (tutte specialità di cui fino a due anni fa conoscevamo poco o nulla e di cui ancora oggi fatichiamo a cogliere le differenze di competenze e conoscenze), sono stati sarcasticamente descritti come una categoria professionale ontologicamente votata al disaccordo e al contrasto, oltre a essere destinata a tornare nel dimenticatoio o addirittura a doversi adattare ai lavori più umili per sopravvivere. Come tutti comici di valore, Zalone fa riflettere e colpisce a fondo, senza risparmiarsi.
Come non pensare allora, ai professori (ma quante sono in Italia le cattedre universitarie e i primariati?) che hanno riempito schermi, giornali, social e persino le librerie, ognuno col suo bel volume su pandemia e dintorni, contrapposti alle migliaia di medici e infermieri che incessantemente hanno lavorato nel silenzio, fino ad ammalarsi e, in non pochi casi, morire. Quegli stessi che due anni fa erano da tutti dipinti e celebrati come eroi e che adesso sono già finiti nel dimenticatoio, se non criticati.
Analoga sorte, con le debite differenze, è toccata agli uomini e donne della polizia locale. Nei periodi più duri della pandemia sono stati i custodi della sicurezza delle città deserte; hanno aiutato tutti, soprattutto i più fragili, facendo per loro ogni cosa (la spesa, la distribuzione dei tablet per la dad, il ritiro delle pensioni). Il modello di prossimità ancora una volta messo in campo è stato mutuato anche dalle forze di polizia dello Stato.
Poi è venuto il momento dei controlli sulle misure di volta in volta adottate a suon di d.P.C.M., che uscivano con la stessa frequenza dei settimanali nelle edicole: le polizie locali sono state in prima fila nei controlli di ogni tipo, anche i più impopolari, cercando al contempo di aiutare le persone a districarsi nel groviglio di norme spesso lacunose o contraddittorie.
E il governo, nello specifico il Ministero degli interni, non si lasciava certo sfuggire l’opportunità di utilizzare migliaia di uomini e donne, fino a prima un po’ snobbati, ma ora diventati preziosi in momenti in cui le difficoltà sembravamo insormontabili e le misure introdotte talmente forti da richiedere un sistema di controllo territoriale e sociale il più capillare possibile. Erano già tutti lì, belli e pronti, giustamente smaniosi di dare una mano, equipaggiati, dotati di mezzi e soprattutto pagati dagli enti locali.
Così tutti hanno potuto vedere il susseguirsi di circolari ministeriali che invitavano i Prefetti, incaricati di coordinare la vigilanza sulle misure di volta in volta messe in atto, ad avvalersi delle polizie locali. Addirittura, prevedendo il riconoscimento dell’indennità di ordine pubblico!
Così si è pure assistito al paradosso del riconoscimento di un’indennità economica (ma soprattutto di un principio, cioè il ruolo attivo nelle attività di ordine pubblico) che è sempre stato negato per manifestazioni e cortei di gran lunga più complessi e rischiosi dei controlli durante il lock down. Ma si sa che nella difficoltà (forse disperazione istituzionale) tutto è consentito e addirittura opportuno, salvo poi tornare ad essere impossibile a distanza di qualche mese.
Forse lusingato dagli apprezzamenti e riconoscimenti, qualcuno ha pensato che fosse il momento di fare finalmente il salto istituzionale. Invece, lo stesso ministero prodigo di riconoscimenti e ammiccamenti nella difficoltà dell’emergenza planetaria, appena rimessosi, non ha voluto esimersi da riprendere le distanze, evidenziando e ribadendo le differenziazioni tra polizie statali e locali, innalzando steccati laddove si erano strette collaborazioni sinergiche.
Non c’è giudizio, ma descrizione dei fatti.
Chi dimentica i fiumi di inchiostro, le immagini e le parole dette per affermare che dalla pandemia il mondo sarebbe uscito cambiato in meglio, avendo potuto vivere la solidarietà e l’unità come mai prima? Questo accadeva nella prima fase.
Poi ci si è resi conto che non sarebbe andata proprio così e qualcuno è arrivato persino a dire che il mondo sarebbe cambiato in peggio ed è innegabile che ciò sia avvenuto, sul piano economico e sociale, per l’ampliamento del divario tra le classi.
Non è questo lo spazio per approfondire riflessioni così complesse, ma val la pena ricordarle, soprattutto per ribaltarle sul piano istituzionale: quanto ci hanno messo lo Stato e le Istituzioni periferiche (regioni e comuni) per mettersi a lavorare assieme senza farsi la guerra, sparandosi addosso cannonate di fuoco amico? Forse troppo, ma alla fine ci si è arrivati, non solo nelle politiche sanitarie ma anche in quelle della sicurezza delle città.
E adesso?
Se si dovesse guardare al dibattito (ai suoi più recenti passaggi almeno) sulla legge di riforma si potrebbe comprensibilmente essere travolti dallo scoramento. Io, invece, vorrei essere più ottimista e credere che dalla crisi che – auspichiamo tutti – ci stiamo lasciando alle spalle gli uomini e le donne della polizia locale possano trarre un prezioso insegnamento: guardando in alto per cercare riconoscimenti e apprezzamenti si rischia di raccogliere briciole e carezze effimere; al contrario, se si guarda attorno, tra i cittadini, si possono cogliere sguardi di sincera riconoscenza e fiducia.
E così, anche se non ancora ritenute legislativamente meritevoli, le polizie locali – meglio le donne e gli uomini che ne fanno parte – sono sicuramente riconosciute più affidabili dalla gente per bene.
E non è poco