Piano regolatore generale: i nuovi equilibri tra gli attori della pianificazione
Fabio Saitta
Circa un mese fa, mi sono imbattuto casualmente in una sentenza che ribadiva un concetto a me noto sin dai miei primi approcci al diritto urbanistico: «[i]l piano regolatore generale è un atto avente natura complessa in quanto alla sua formazione concorrono le volontà di due Enti diversi, il Comune, al quale spetta l’iniziativa e la definizione dei contenuti dell’atto di pianificazione, e la Regione, che deve provvedere alla definitiva approvazione dello strumento urbanistico».
La sentenza precisava subito dopo che «nonostante la concorrente partecipazione delle suddette Amministrazioni si tratta di un atto complesso di tipo diseguale, che vede nel procedimento di formazione, sotto un profilo sostanziale oltrechè procedimentale, un ruolo differenziato dei predetti Enti».
Fin qui nulla di nuovo rispetto a quello che ricordavo. Sennonché, nel prosieguo, la sentenza appena citata puntualizzava i termini di tale «diseguaglianza» affermando che si deve «attribuire una posizione preponderante all’Ente locale nella regolazione degli interessi urbanistici comunali».
A questo punto, mi sono arrestato e, constatato attraverso la motivazione della sentenza che tali affermazioni erano state tratte – e riportate testualmente – da una pronuncia emessa dal Consiglio di Stato un anno e mezzo prima, sono stato assalito da un dubbio: ma non era la regione a recitare un ruolo preminente nel procedimento di formazione del piano regolatore generale?
Insomma, ricordavo di aver letto il contrario e, per mia curiosità (più che altro, per verificare se, nonostante l’incedere degli anni, la memoria non mi avesse del tutto abbandonato), sono andato subito a verificare, appurando che effettivamente, anche se la giurisprudenza più recente è decisamente orientata nel senso di riconoscere all’ente locale di primo livello una posizione di «centralità sostanziale», in pronunce tutto sommato non troppo risalenti può ancora leggersi che, ferma la «natura giuridica di atto complesso ineguale» del piano regolatore generale, alla cui formazione «concorrono le volontà di due enti diversi, dotati di poteri non eguali, […] la fase regionale di approvazione, in considerazione del più ampio spettro di interessi in essa rappresentato, si connota per il riconoscimento alla regione di poteri tali da sovrapporsi – modificandole – alle scelte comunali».
In certo senso confortato dal fatto che il mio iniziale stupore non fosse dovuto a scarsa memoria, bensì a mancato aggiornamento (ovviamente, non è possibile seguire tutte le evoluzioni giurisprudenziali), mi è parso doveroso appurare quale fosse lo stato dell’arte in dottrina: constatato subito che anche in quell’ambito non vi sono certezze assolute, ho ritenuto interessante approfondire il tema per verificare, più in generale, l’attuale tenuta della costruzione del piano regolatore generale come atto complesso diseguale.