Quale futuro per il Codice dei contratti dopo le elezioni di marzo?
Antonio Vespignani
Il vuoto politico derivante dalla difficoltà (impossibilità?) di formare un governo di legislatura si ripercuote inevitabilmente anche sul piano normativo. In particolare sulla disciplina della contrattualistica pubblica, atteso che il Codice dei contratti era stato “messo nel mirino” dalle forze politiche uscite vittoriose dalla tornata elettorale del 4 marzo. Si tratta di partiti che avevano inserito nel proprio programma elettorale la cancellazione o la riscrittura integrale del Codice o quanto meno la drastica revisione del suo impianto, nell’intento di rimuovere gli ostacoli normativi che si frappongono alla ripresa di un settore strategico per l’economia del Paese quale quello delle opere pubbliche.
Ma i proclami e gli impegni elettorali sono rimasti lettera morta in questi primi mesi post elezioni.
Per cui il quadro di riferimento è rimasto invariato, il che significa non soltanto che il Codice rimane al suo posto (né potrebbe essere diversamente), ma anche che prosegue la lunga e complessa fase di emanazione dei provvedimenti attuativi dello Codice stesso. Si pensi alle linee guida licenziate dall’Anac o ad alcuni dei decreti ministeriali previsti dal Codice. Si pensi ancora alla proposta di decreto ministeriale sul sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, recentemente adottata dalla stessa Autorità.
Proseguendo su questa via, si potrebbe assistere al paradosso per cui, dopo aver contestato il Codice (anche) per la sua perdurante incompletezza, se ne decreti l’abrogazione proprio allorquando l’attività di completamento con i provvedimenti attuativi sta giungendo a compimento.
Vediamo quindi come si è sviluppata la produzione normativa degli ultimi mesi, con particolare riferimento, appunto, all’attività di attuazione del d.lgs. n. 50.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 284 del 5 dicembre 2017, è stata pubblicata la legge 4 dicembre 2017, n. 172 di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 148/2017 (c.d. “decreto fiscale”), recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili”.
Il provvedimento, oltre a contenere un pacchetto di misure di natura strettamente fiscale, interviene anche sulla disciplina per la ricostruzione post terremoto nel Centro Italia, modificando il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, e prevedendo ulteriori misure a favore delle popolazioni dei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessati dagli eventi sismici verificatisi dal 24 agosto 2016.
In materia di opere pubbliche, viene anzitutto modificata la disciplina sulla ricostruzione pubblica di cui all’art. 14 del citato d.l. n. 189/2016, disponendo, in particolare, la possibilità di individuare, nei piani approvati dal Commissario straordinario, interventi che rivestono un’importanza essenziale ai fini della ricostruzione nei territori interessati, con applicazione, fino alla scadenza della gestione commissariale ed entro i limiti della soglia comunitaria, della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, ex commi 1 e 6 dell’art. 63 del Codice.
Prima di tale modifica, la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata con invito ad almeno 5 operatori, veniva consentita per i soli interventi funzionali alla realizzazione dei piani finalizzati ad assicurare il ripristino del regolare svolgimento, nell’anno 2017/2018, della attività scolastica, educativa e didattica (lett. a-bis, art. 14, comma 2).
La nuova norma, invece, consente di ricorrere alla procedura negoziata, nei limiti summenzionati, per tutti gli interventi rientranti nei piani indicati alle lettere a), b), c), d) e f) del comma 2 del medesimo articolo 14, ossia per gli interventi rientranti:
- nel piano delle opere pubbliche;
- nel piano dei beni culturali;
- nel piano di interventi sui dissesti idrogeologici;
- nel piano per lo sviluppo delle infrastrutture e il rafforzamento del sistema delle imprese;
- nel programma delle infrastrutture ambientali da ripristinare e realizzare.
La possibilità di ricorrere a tale procedura è subordinata alla condizione che il Commissario straordinario individui, con specifica motivazione, gli interventi, inseriti in detti piani, che rivestono un’importanza essenziale ai fini della ricostruzione nei territori colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016.
Viene altresì ampliato il numero dei soggetti attuatori degli interventi per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali, che ora sono:
- le Regioni interessate (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria), anche attraverso gli Uffici speciali per la ricostruzione;
- il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
- il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
- l’Agenzia del demanio;
- le Diocesi, limitatamente agli interventi sugli immobili in loro proprietà di importo inferiore alla soglia di rilevanza europea.
Viene infine modificato l’art. 18, in materia di Centrale unica di committenza, prevedendo che le Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, nonché i comuni, le unioni di comuni, le comunità montane e le province interessate possano avvalersi, oltreché dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa s.p.a., anche dei soggetti aggregatori regionali.
Sulla Gazzetta ufficiale europea n. L337/21 del 19 dicembre 2017 sono stati pubblicati i regolamenti che fissano le nuove soglie comunitarie superate le quali trova applicazione la normativa comunitaria sugli appalti pubblici.
In conformità alle previsioni dell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, per effetto delle modifiche introdotte, dal 1° gennaio 2018, le soglie di cui comma 1 dello stesso art. 35 del Codice dei contratti sono ora le seguenti:
- euro 5.548.000 (anziché 5.225.000) per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;
- euro 144.000 (anziché 135.000) per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali indicate nell’allegato III; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell’allegato VIII;
- euro 221.000 (anziché 209.000) per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; tale soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, allorché tali appalti concernono prodotti non menzionati nell’allegato VIII;
- euro 750.000 (l’importo rimane inalterato) per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all’allegato IX.
Per i settori speciali, sempre dal 1° gennaio 2018, le soglie di rilevanza comunitaria (art. 35, comma 2) sono le seguenti:- euro 5.548.000 (anziché 5.225.000) per gli appalti di lavori;
- euro 443.000 (anziché 418.000) per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione;
- euro 1.000.000 (l’importo rimane inalterato) per i contratti di servizi, per i servizi sociali e altri servizi specifici elencati all’allegato IX.
La legge di bilancio 2018 – l. n. 205/2017 – all’art. 1, commi 986, 987 e 988, ha apportato importanti modifiche alla norma impone alla pubblica amministrazione, prima di procedere al pagamento di somme a qualsiasi titolo, di verificare la regolarità fiscale del destinatario delle stesse e di sospenderne il pagamento in caso di accertata morosità rispetto a una o più cartelle fiscali (art.48-bis del d.P.R. n. 602/1973).
Con decorrenza dal 1° marzo 2018, infatti, da un lato è stata ridotta, da 10.000 a 5.000 euro, la soglia oltre la quale le pubbliche amministrazioni (e le società a prevalente partecipazione pubblica) possono sospendere i pagamenti, nell’ipotesi in cui il beneficiario degli stessi risulti inadempiente rispetto all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle esattoriali, per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo.
Specularmente è stato modificato il d.m. n. 40/2008, attuativo del citato art. 48-bis, che stabilisce sia le modalità di verifica della posizione debitoria dell’interessato da parte dell’agente della riscossione, sia la procedura di riscossione delle somme dovute dall’interessato all’Erario.
In particolare, è stato esteso da 30 a 60 giorni il periodo nel quale il soggetto pubblico non procede al pagamento delle somme dovute al beneficiario, risultato inadempiente, fino alla concorrenza dell’ammontare del debito comunicato dall’agente della riscossione.
Tali modifiche incidono in maniera rilevante sulla disciplina delle cause di esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara, di cui all’art. 80 del Codice dei contratti a mente del quale “Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”. Pertanto, il dimezzamento della soglia di cui all’art. 48-bis si ripercuote sulla partecipazione alle procedure di gara, amplificando il concetto di gravità delle violazioni in materia fiscale e comportando la potenziale esclusione dalle procedure di gara di imprese che abbiano commesso violazioni di importo scarsamente rilevante.
Sotto altro aspetto, l’abbassamento della soglia in questione ed il contestuale raddoppio a 60 giorni del periodo di sospensione dei pagamenti da parte delle amministrazioni ai beneficiari di somme pubbliche, necessario a consentire l’effettuazione di pignoramenti, si ripercuotono sulla disciplina del pagamento del corrispettivo d’appalto agli operatori economici.
Infatti le imprese che attendono di ricevere il pagamento del corrispettivo d’appalto da parte dell’ente appaltante, potrebbero, a fronte dell’omesso pagamento di imposte o tasse per un importo pari o superiore a 5.000 euro, subire una paralisi dei pagamenti per un intero bimestre, in attesa dell’avvio della procedura di riscossione.
In questo quadro di inserisce la circolare della Ragioneria Generale dello Stato n. 13 del 21 marzo scorso, che fa il punto sull’aggiornamento della normativa ed esamina alcuni profili critici emersi nel corso del tempo, afferenti, tra l’altro, all’ambito soggettivo, alla scissione dei pagamenti, all’inadempienza contributiva, alla cessione del credito.
Con particolare riguardo alla precisa individuazione degli enti che sono tenuti a effettuare le verifiche ai sensi dell’art. 48-bis, viene chiarito che rientrano nel novero delle amministrazioni pubbliche tenute a effettuare tali controlli:
- le società a totale partecipazione pubblica diretta;
- gli enti pubblici anche economici, le aziende speciali anche consortili e, in generale, le aziende pubbliche a prescindere dalla loro qualificazione come enti pubblici economici;
- gestioni commissariali.
Risultano, invece, escluse dall’ambito di applicabilità della disciplina le fondazioni e le associazioni di enti pubblici, poiché tale inclusione segnerebbe una dilatazione eccessiva dell’ambito soggettivo.
La circolare si sofferma, inoltre, sull’applicazione della disciplina di cui all’art. 48-bis per quelle amministrazioni e quegli enti interessati dallo split payment, confermando quanto già chiarito dall’Agenzia delle entrate nel 2015.
Per effetto del c.d. split payment, introdotto dal 1° gennaio 2015, le amministrazioni procedono, in sostanza, a effettuare due pagamenti: il corrispettivo al netto dell’Iva a favore del proprio fornitore, e il versamento dell’Iva a favore dell’Erario. La circolare precisa che in questi casi, ai fini dell’individuazione della soglia dei 5.000 euro, al di sopra della quale vengono sospesi i pagamenti, le amministrazioni non dovranno considerare l’Iva, ma tener conto, soltanto di quanto effettivamente spettante in via diretta al proprio fornitore, cioè dell’importo al netto dell’Iva.
La circolare prende in esame, inoltre, l’ipotesi in cui in sede di pagamento del beneficiario sia riscontrata sia un’inadempienza di natura contributiva che di natura “fiscale”, al fine di chiarire se vada prioritariamente applicata la disciplina che consente l’intervento sostitutivo della stazione appaltante nel versamento dei contributi ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 50/2016 oppure la disciplina di cui all’art. 48-bis del d.P.R. n. 602/1973.
Come noto, l’art. 30 del Codice, prevede che, qualora il durc relativo a personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o di titolari di subappalti e cottimi non risulti regolare, la stazione appaltante sia tenuta a trattenere l’importo corrispondente all’inadempienza, per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa la cassa edile.
Come evidenziato nella circolare si tratta di un obbligo a carico della stazione appaltante, per cui deve ritenersi che l’intervento sostitutivo in materia contributiva sia prioritario rispetto alla verifica della morosità fiscale.
Pertanto, in caso di DURC irregolare la p.a. deve prioritariamente trattenere l’importo dei contributi non assolti dall’appaltatore o subappaltatore, e versarli agli enti previdenziali e assistenziali, e sull’importo residuo del pagamento, se superiore alla soglia dei 5.000 euro, effettuare la verifica della regolarità fiscale.
La circolare riprende infine la questione della verifica di inadempienza in caso di cessione del credito da parte dell’impresa destinataria del pagamento stesso, confermando la procedura delineata nella circolare n. 29/2009.
In tale occasione, è stato precisato che la verifica in capo all’impresa va effettuata al momento della notifica della cessione del credito all’amministrazione debitrice, che, accertata la “non inadempienza” della stessa, potrà fornire la propria accettazione espressa alla cessione, liberando così l’impresa da ogni ulteriore controllo, da effettuarsi al momento dell’effettivo pagamento delle somme spettanti. All’atto dell’erogazione degli importi dovuti dall’amministrazione, infatti, la verifica sarà effettuata solo nei confronti della banca, o dell’intermediario, che ha acquistato il credito dall’impresa originaria.
Inoltre, contestualmente alla notifica relativa alla cessione del credito, il cedente deve:
- richiedere all’amministrazione debitrice l’accettazione espressa alla cessione del credito, che contenga l’esplicito riferimento all’inesistenza di situazioni di inadempimento a proprio carico;
- allegare alla richiesta di accettazione del credito il consenso al trattamento dei propri dati personali (mediante il modulo allegato alla C.M. 29/2009), necessario per consentire alla p.a. di effettuare la predetta verifica di morosità prevista dall’art. 48-bis.
A tal riguardo, la Ragioneria generale indica ora due diverse ipotesi:
- il cedente acconsente a far immediatamente effettuare la verifica di inadempienza a proprio carico da parte dell’amministrazione ceduta (fornendo il consenso al trattamento dei dati personali), che in conseguenza, darà notizia dei relativi esiti al cessionario. Solo qualora l’esito risulti di “non inadempimento”, l’amministrazione provvederà ad effettuare, al momento del pagamento, una seconda verifica nei confronti del cessionario;
- il cedente non acconsente a far effettuare la predetta verifica (non fornendo l’autorizzazione al trattamento dei dati personali), con la conseguenza che, a prescindere dall’accettazione anche tacita dell’amministrazione ceduta, quest’ultima dovrà effettuare la verifica solamente nei confronti del soggetto cedente (originario creditore), all’atto del pagamento a favore del cessionario, consapevole del rischio che il cedente possa risultare inadempiente rispetto agli obblighi di versamento di cartelle di pagamento.
In quest’ultimo caso, precisa la circolare, è opportuno che l’amministrazione ceduta si adoperi per non prestare il proprio consenso alla cessione del credito.
Il 1° dicembre 2017 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha firmato il cosiddetto decreto BIM, secondo quanto previsto dall’art. 23, comma 13, del Codice appalti, vale a dire il decreto che definisce, per gli appalti di lavori e le concessioni di lavori, le modalità i tempi di progressiva introduzione del BIM (Building Information Modelling) negli appalti pubblici. Il decreto, che ha preso il n. 560, è entrato in vigore il 28 gennaio scorso, vale a dire decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione sul sito del Ministero (avvenuta il 12 gennaio).
All’art. 6 sono fissati i tempi di progressiva introduzione obbligatoria dei metodi e strumenti elettronici di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture. In particolare, le stazioni appaltanti dovranno richiedere, in via obbligatoria, l’uso BIM secondo le seguenti scadenze:
- per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2019;
- per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 50 milioni di a decorrere dal 1° gennaio 2020;
- per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 15 milioni di euro a decorrere dal 1° gennaio 2021;
- per le opere di importo a base di gara pari o superiore alla soglia comunitaria, a decorrere dal 1° gennaio 2022;
- per le opere di importo a base di gara pari o superiore a 1 milione di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2023;
- per le nuove opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2025.
Ex art. 7 del decreto, elemento cardine della procedura BIM è la redazione del capitolato da parte della stazione appaltante. Il capitolato, allegato alla documentazione di gara per l’espletamento di servizi di progettazione o per l’esecuzione di lavori e/o della gestione delle opere, deve contenere:
- i requisiti informativi strategici generali e specifici, compresi i livelli di definizione dei contenuti informativi, tenuto conto della natura dell’opera, della fase di processo e del tipo di appalto;
- tutti gli elementi utili alla individuazione dei requisiti di produzione, di gestione e di trasmissione dei contenuti informativi, in stretta connessione con gli obiettivi decisionali e con quelli gestionali. In particolare, deve includere il modello informativo relativo allo stato iniziale dei luoghi e delle eventuali opere preesistenti.
Il capitolato è comunicato anche ai subappaltatori e ai subfornitori cui è fatto obbligo di concorrere con l’aggiudicatario nella proposizione delle modalità operative di produzione, di gestione e di trasmissione dei contenuti informativi attraverso il piano di gestione informativa.
La documentazione di gara è resa disponibile tra le parti, su supporto informatico per mezzo di formati digitali coerenti con la natura del contenuto e con quanto previsto dai requisiti informativi del capitolato.
Il 4 gennaio scorso è entrato in vigore il d.m. esteri 2 novembre 2017, n. 192, contenente il “Regolamento recante le direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da svolgersi all’estero, ai sensi dell’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.
Di fondamentale importanza è l’art. 1, rubricato “Normativa applicabile”, ai sensi del quale alle procedure di scelta del contraente e all’esecuzione dei contratti si applicano le direttive europee, fatto salvo quanto previsto dal regolamento medesimo. Tanto le procedure di scelta del contraente, quanto l’esecuzione dei contratti tengono conto dei principi fondamentali del Codice, in particolare garantendo il rispetto dei principi di cui all’art. 30, commi 1, 2 e 7, del Codice medesimo.
È inoltre previsto che i contratti si debbano conformare alla normativa in materia ambientale, urbanistica, di tutela dei beni culturali e paesaggistici, in materia antisismica e di sicurezza del Paese in cui dev’essere eseguito il contratto. I lavori all’estero si conformano altresì alle disposizioni nazionali ed europee in materia di tutela ambientale, di salute e di sicurezza, in quanto compatibili con la normativa locale per i contratti da eseguire in Stati non appartenenti all’Unione europea.
Infine la legge civile che regola la stipula del contratto e la fase di esecuzione è determinata secondo le norme applicabili di diritto internazionale privato.
Posto che ciascuna sede estera è stazione appaltante, essa può utilizzare nella scelta del contraente, oltre alle procedure ordinarie, le seguenti procedure semplificate:
a) affidamento diretto per contratti di importo inferiore a 40.000 euro, anche senza previa consultazione di due o più operatori economici; b) procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando per contratti di forniture o di servizi di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore alle soglie comunitarie; c) procedura negoziata senza previa pubblicazione per contratti di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a un milione di euro.
Mentre per quanto riguarda i requisiti di ordine generale, il decreto fa riferimento alle cause di esclusione previste dall’articolo 80 del codice e alle situazioni equivalenti regolate dall’ordinamento locale, in ordine ai requisiti speciali di qualificazione, si prevede che nel primo atto della procedura di affidamento, la sede estera fissa tali requisiti che devono essere proporzionati, pertinenti e finalizzati alla regolare esecuzione, sulla base delle previsioni, dove esistenti, dell’ordinamento locale.
Gli appalti affidati con procedura negoziata sono aggiudicati sulla base del criterio del minor prezzo; solo su motivata indicazione contenuta negli atti di gara, è ammesso il ricorso al criterio dei costi del ciclo di vita oppure al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Interessante appare la disciplina del subappalto, di cui all’art. 14 del d.M. Gli atti di gara devono espressamente contenere una serie di obblighi a carico dell’appaltatore: dall’assunzione di responsabilità per l’intero contratto, all’indicazione nell’offerta non solo delle eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare, ma anche dei subappaltatori proposti (i quali devono essere in possesso dei requisiti previsti dal bando in relazione alla prestazione oggetto del subappalto); dall’accettazione che l’amministrazione aggiudicatrice possa trasferire i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore per le prestazioni da lui fornite nell’ambito dell’appalto all’impegno di sostituire i subappaltatori per i quali emergano motivi di esclusione. Come nella disciplina nazionale, gli eventuali subappalti non possono complessivamente superare il 30% dell’importo complessivo del contratto.
Meritano di essere segnalati anche due interessanti interventi dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato. Anzitutto con parere n. AS1466 del 4 dicembre 2017, pubblicato sul Bollettino n. 1 del 15 gennaio 2018, l’Autorità ha risposto ad una richiesta dalla Provincia di Parma in ordine all’applicazione della disciplina dettata dal Codice dei contratti relativamente al rilascio di garanzie fideiussorie nelle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici.
Nel parere, l’Autorità ribadisce preliminarmente di aver già avuto modo di precisare che il bando di gara non può contenere disposizioni volte ad escludere le imprese bancarie, le imprese assicurative o gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’art. 106 Testo Unico Bancario – vale a dire le categorie che l’art. 93, comma 3, del Codice abilita al rilascio delle garanzie fideiussorie ai partecipanti alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici – dal novero dei soggetti ammessi a prestare le garanzie fideiussorie necessarie per la presentazione delle offerte.
Una tale limitazione, infatti, comporterebbe una distorsione delle dinamiche concorrenziali nella fornitura delle garanzie fideiussorie e restringerebbe in maniera ingiustificata l’accesso a tale servizio finanziario da parte dei partecipanti alla gara”.
L’AGCM precisa inoltre che “il bando di gara non può contenere disposizioni che impediscano alle imprese bancarie, assicurative e agli intermediari finanziari che operano in Italia in regime di libera prestazione di servizi di rilasciare garanzie fideiussorie. Infatti, l’esclusione di tali imprese comporterebbe un’ingiustificata restrizione della concorrenza e, per il suo carattere discriminatorio per ragioni di nazionalità, costituirebbe una violazione del diritto comunitario”.
Per quanto riguarda la posizione delle imprese extracomunitarie, l’Autorità osserva che “in assenza di una specifica normativa comunitaria, tali imprese non possono operare in regime di libera prestazione dei servizi. L’Autorità, tuttavia, osserva che gli enti aggiudicatori e le stazioni appaltanti non possono in via generale escludere che le offerte siano corredate da garanzie fideiussorie rilasciate da imprese extracomunitarie, in quanto tali imprese possono essere autorizzate ad operare nel mercato italiano nel rispetto di quanto previsto dalla legislazione settoriale e dalla regolazione di vigilanza in materia bancaria, assicurativa e di intermediazione finanziaria. Nel bando di gara, pertanto, non può prevedersi l’esclusione delle imprese extracomunitarie autorizzate, in quanto ciò risulterebbe restrittivo della concorrenza, nonché ingiustificatamente discriminatorio”.
L’Antitrust, infine, ritiene che “le stazioni appaltanti o gli enti aggiudicatori possono acquisire elementi utili a valutare la solvibilità e l’affidabilità delle imprese extracomunitarie, dalle disposizioni normative e regolatorie che fissano i requisiti per il rilascio delle autorizzazioni settoriali, nonché dal titolo autorizzatorio e dalle informazioni reperibili direttamente presso le competenti Autorità di vigilanza”.
In virtù del richiamo contenuto nell’art. 103, comma 4, le stesse considerazioni devono intendersi estese anche ai soggetti chiamati al rilascio della garanzia definitiva.
La stessa AGCM, con nota del 13 febbraio 2018, prot. n. AS1474, è intervenuta formulando importanti osservazioni sulle Linee Guida n. 6 dell’Autorità nazionale anticorruzione.
Come noto, tali linee guida recano “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possono considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. c) del Codice”, aggiornate a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 56/2017 (c.d. correttivo).
In particolare, l’articolo 80, comma 5, lett c), citato contempla tra le cause di esclusione la commissione da parte dell’operatore economico di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
In quest’ambito, le linee guida Anac attribuiscono rilevanza ai provvedimenti sanzionatori che riguardano illeciti in materia di concorrenza gravi, “aventi effetti sulla contrattualistica pubblica” e “posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare”. In presenza di tali provvedimenti, le linee guida prevedono che le stazioni appaltanti debbano valutare le condotte oggetto di accertamento ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente per l’illecito anticoncorrenziale in modo non automatico, ma all’esito di un procedimento in contraddittorio con l’operatore interessato.
Premesso tale quadro di riferimento, l’Antitrust ribadisce anzitutto la valutazione positiva della scelta generale di individuare espressamente negli illeciti antitrust ipotesi di gravi illeciti professionali idonee a determinare l’esclusione di un concorrente da una procedura di evidenza pubblica.
Tuttavia, la stessa Autorità esprime perplessità in merito alla scelta dell’Anac di attribuire rilevanza al provvedimento meramente “esecutivo” dell’Autorità – e non più ai “provvedimenti di condanna divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato” (come accennato nelle precedenti bozze di linee guida).
Al riguardo, l’Antitrust segnala il possibile contrasto di tale indicazione con l’articolo 80, co. 10, del Codice dei contratti pubblici, che ha fissato la durata della causa di esclusione pari a tre anni decorrenti dalla data del suo “accertamento definitivo”, da intendersi – come osservato dal Consiglio di Stato nel citato parere n. 2286/2016 – quale data non già del fatto ma del suo accertamento giudiziale definitivo.
Peraltro, al fine di evitare una proliferazione del contenzioso e continui effetti sulle gare in corso derivanti dal possibile esito divergente dei giudizi, appare, secondo l’Antitrust, preferibile individuare la data dell’accertamento definitivo non in quella del provvedimento esecutivo dell’AGCM stessa (che non è ancora definitivo), ma in quella dell’intervenuta inoppugnabilità dell’accertamento da parte dell’Autorità (nell’ipotesi di provvedimenti non impugnati) o nella pronuncia definitiva del giudice amministrativo (in caso di impugnazione).
Solo in questo modo, si evita che effetti rilevanti sulle gare in corso possano essere prodotti da provvedimenti ancora soggetti al controllo giurisdizionale e non si identifica l’accertamento definitivo con il giudicato formale, bensì con la conclusione del contenzioso davanti al giudice amministrativo munito di giurisdizione esclusiva in materia.
In questo modo, l’Antitrust ritiene di poter allontanare il rischio che un utilizzo strumentale del ricorso per Cassazione possa posticipare l’effetto di un accertamento ormai confermato dal giudice del ricorso.
Tale conclusione appare inoltre coerente con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che, nel confermare l’ascrivibilità dell’illecito anticoncorrenziale all’ipotesi escludente del grave errore professionale riconosce la compatibilità tra gli artt. 49 e 56 TFUE e una normativa nazionale che esclude la partecipazione a una procedura di gara d’appalto di un operatore economico che abbia commesso “un’infrazione al diritto della concorrenza, constatata con decisione giurisdizionale passata in giudicato, per la quale gli è stata inflitta un’ammenda” (causa C-470/13, cit., § 39).
A sua volta, l’Autorità nazionale anticorruzione non ha mancato di proseguire la propria attività normativa “a valle” del Codice, da un lato con l’aggiornamento di alcune linee guida e il loro adeguamento alle disposizioni del d.lgs. n. 56/2017 (cd. correttivo), dall’altro con l’emanazione di nuove linee guida, dall’altro ancora con l’approvazione di nuovi bandi-tipo.
E’ quest’ultimo il caso del bando-tipo n. 2, approvato con delibera n. 2 del 10 gennaio 2018, sull’affidamento dei contratti pubblici di servizi di pulizia di importo pari o superiore alla soglia comunitaria con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo. Il bando-tipo in questione ha acquistato efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 27 del 2 febbraio 2018.
Sul fronte delle linee guida, invece, va registrato l’opportuno aggiornamento (con delibera n. 206 del 1° marzo 2018) delle Linee guida n. 4, recanti “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”.
Analogo restyling è stato operato – con delibera n. 4 del 10 gennaio 2018 – alle Linee guida n. 5 riguardanti i “Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici”.
Di nuova stesura sono invece le Linee guida n. 9, approvate con delibera n. 318 del 28 marzo scorso. Esse riguardano il “Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato”.
L’art. 181, comma 4, del Codice dei contratti attribuisce infatti all’Anac, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze, il compito di adottare linee guida che definiscano le modalità con le quali le amministrazioni aggiudicatrici, attraverso sistemi di monitoraggio, esercitano il controllo sull’attività dell’operatore economico (partner privato in un contratto di PPP), verificando in particolare la permanenza in capo ad esso dei rischi trasferiti.
Data l’importanza della porzione di mercato costituita dagli appalti sotto soglia, si propone una disamina più approfondita della nuova versione delle Linee guida n. 4.
Nell’aggiornamento viene precisato che, al fine di evitare il frazionamento artificioso degli appalti, le disposizioni di cui all’art. 35 del Codice in materia di determinazione delle soglie d’importo degli appalti si applicano anche per gli appalti sotto le soglie comunitarie. L’Anac sottolinea che nel caso di opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale (art. 36, commi 3 e 4), devono essere cumulativamente considerati tutti i lavori di urbanizzazione (primaria e secondaria), anche se appartenenti a lotti diversi. Tuttavia nel caso di opere di urbanizzazione primaria “sotto soglia” – per le quali non si applicano le disposizioni del Codice ai sensi del d.P.R. n. 380/2001 –, ai fini della determinazione della soglia il valore di tali opere non si somma al valore delle altre opere di urbanizzazione eventualmente da realizzarsi .
Con le linee guida n. 4, l’ANAC introduce alcune novità, chiarendo che le stazioni appaltanti:
- possono applicare le disposizioni sulle clausole sociali, tenendo conto anche delle indicazioni, che saranno fornite dall’ANAC in uno specifico atto regolatorio;
- garantiscono, in aderenza ai criteri di sostenibilità energetica e ambientale, la previsione nella documentazione progettuale e di gara dei criteri ambientali minimi (CAM), adottati con decreto del Ministro dell’ambiente;
- adottano adeguate misure di prevenzione e risoluzione del “conflitto d’interessi” sia in fase di svolgimento della procedura di gara sia fase di esecuzione del contratto;
- applicano il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, posto al fine di evitare il consolidarsi di rapporti solo con alcune imprese, favorendo la distribuzione delle opportunità degli operatori economici di essere affidatari di un contratto pubblico.
Particolare importanza occupa la trattazione del principio di rotazione, che riguarda gli affidamenti diretti (fino alla soglia dei 40.000 euro per lavori, servizi e forniture) e le procedure negoziate fino alla soglia comunitaria per i servizi e le forniture e fino ad un milione di euro per i lavori.
Il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti si applica alle procedure rientranti nel medesimo settore merceologico, categorie di opere e settore di servizi di quelle precedenti, nelle quali la stazione appaltante opera limitazioni al numero di operatori economici selezionati. A tale scopo, i regolamenti interni delle stazioni appaltanti possono prevedere fasce, suddivise per valore, nelle quali applicare la rotazione degli operatori economici.
Detto principio comporta, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento. Il reinvito del contraente uscente ha quindi carattere eccezionale e richiede un onere motivazionale stringente, mentre nel caso di reinvito all’operatore economico invitato in occasione del precedente affidamento, e non affidatario, la motivazione può essere meno stringente (tenendo conto dell’aspettativa circa l’affidabilità dell’operatore economico e della sua idoneità a fornire prestazioni coerenti con il livello economico e qualitativo atteso).
La rotazione non si applica qualora il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione.
In ogni caso, l’applicazione del principio di rotazione non può essere aggirata, con riferimento agli affidamenti operati negli ultimi tre anni solari, mediante ricorso a:
- arbitrari frazionamenti delle commesse o delle fasce;
- ingiustificate aggregazioni o strumentali determinazioni del calcolo del valore stimato dell’appalto;
- alternanza sequenziale di affidamenti diretti o di inviti agli stessi operatori economici;
- affidamenti o inviti disposti, senza adeguata giustificazione, ad operatori economici riconducibili a quelli per i quali opera il divieto di invito o affidamento, ad esempio per la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 80, comma 5, lettera m del Codice dei contratti pubblici.
L’Autorità prevede procedure ulteriormente semplificate riguardanti la verifica dei requisiti degli affidatari diretti nel caso di contratti d’importo inferiore a 40.000 euro.
Fino a 5.000 euro: la stazione appaltante può stipulare il contratto sulla base di un’autodichiarazione dell’operatore economico circa il possesso dei requisiti di cui all’art. 80, ma è comunque tenuta a consultare il casellario informatico preso l’Anac, ad acquisire il durc e a verificare la sussistenza di eventuali requisiti speciali e di idoneità professionale (es: white list).
Da 5.000 a 20.000 euro: la stazione appaltante procede come sopra, ma, in aggiunta, verifica anche la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 80, c. 1 (assenza di sentenze di condanna), comma 4 (regolarità in materia di imposte e tasse, nonché di contributi sociali), comma 5, lett, b) (assenza di stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di concordato con continuità aziendale, nonché assenza di procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni).
Da 20.000 a 40.000 euro: la stazione appaltante verifica tutti i requisiti dell’art. 80 e quelli “speciali”, nonché la sussistenza di eventuali requisiti di idoneità professionale.
Resta fermo che la stazione appaltante può effettuare tutte le verifiche ritenute opportune, oltre ai necessari controlli a campione sulle autocertificazioni acquisite.
Per quanto riguarda i contratti d’importo inferiore a 40.000 euro, l’articolo 36, comma 2, lett. a), come integrato dal “Correttivo”, ha previsto che l’affidamento diretto avvenga “anche senza previa consultazione di due o più operatori economici”. In proposito l’Anac precisa che la stazione appaltante può ricorrere alla comparazione dei listini di mercato, di offerte precedenti per commesse identiche o analoghe o all’analisi dei prezzi praticati ad altre amministrazioni, aggiungendo che il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta comunque una best practice anche alla luce del principio di concorrenza.
Per gli affidamenti d’importo pari o superiore a 40.000 euro, il nuovo testo delle linee guida prevede che la stazione appaltante, nell’avviso pubblico di avvio dell’indagine di mercato ovvero di costituzione dell’elenco degli operatori economici, indichi criteri di selezione oggettivi e coerenti con l’oggetto e la finalità dell’affidamento. Qualora ritenga di non potere invitare tutti gli operatori risultanti dall’indagine ovvero dall’elenco, nell’avviso la stazione appaltante deve esplicitare il numero massimo di operatori selezionabili e i relativi criteri di selezione.
Rispetto alla prima versione delle linee guida, l’ANAC prevede il ricorso al sorteggio quando la stazione appaltante ritenga opportuna la riduzione del numero di operatori da invitare alla gara e non abbia previsto, nell’avviso pubblico di avvio dell’indagine o di costituzione dell’elenco, ulteriori criteri di selezione.
Qualora la stazione appaltante abbia optato per il criterio del minor prezzo con applicazione del “metodo antiturbativa” di cui all’articolo 97, c. 2, tenuto conto dell’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali non univoche sulla modalità di individuazione delle “ali da tagliare” (art. 97, lett. a), b) ed e), l’ANAC prevede che la stazione appaltante indichi nella lettera di invito le modalità di calcolo dell’accantonamento delle ali e le modalità con cui individuare e trattare eventuali offerte identiche per la determinazione delle ali.