Quali risorse, quali progetti, quale regole per il Recovery Plan?
Antonio Vespignani
Non c’è dubbio che, emergenza Covid-19 a parte (ma in stretto collegamento con quella), il tema che sta impegnando maggiormente i nostri governanti è quello dell’utilizzo dei fondi del c.d. Recovery Plan, o – più correttamente – del Next Generation EU. Si tratta, come è noto, dello strumento di ripresa temporaneo – con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro (allocati in massima parte – 672,5 miliardi – nel Recovery and Resilience Facility e, per il rimanente, in altre sei linee di finanziamento) – che, negli auspici della Commissione e di tutti, dovrebbe contribuire a riparare gli incalcolabili danni economici e sociali causati dalla pandemia di coronavirus, con la finalità dichiarata di creare un’Europa post Covid-19 più verde, digitale e resiliente.
Per l’Italia si prospetta una dote particolarmente significativa di questa “torta”: oltre 208 miliardi di euro, di cui il 92% (191,4 miliardi) nel programma principale di NGEU, appunto il Recovery and Resilence Facility, da noi adattato in Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza PNRR).
Ma al di là delle cifre, vi sono altri aspetti da tenere presenti, a cominciare dall’obbligo di impegnare entro il 2022 il 70% delle risorse (134 miliardi) e i rimanenti 57,4 entro l’anno successivo. E ancora, l’obbligo di completare i programmi di spesa entro il 2026.