Ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione: recupero rapido dei crediti
Michele Cozzio
Con la sentenza C-555/14 del 16 febbraio 2017 la Corte di giustizia affronta il tema, complesso, dei ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. La decisione fa seguito ad una controversia radicata in Spagna, ma il tema dei ritardi nei pagamenti è rilevante in molti altri Stati, tra i quali l’Italia, specie con riferimento al settore degli appalti pubblici.
Al riguardo, si consideri che nel febbraio 2017 la Commissione europea ha inviato allo Stato italiano una lettera con parere motivato e con l’esortazione a conformarsi alle indicazioni della Direttiva 2011/7/UE per i ritardi dei pagamenti delle pubblica amministrazione e a garantire la corretta applicazione delle regole sui ritardi nei pagamenti. La Commissione ha così riattivato la procedura di infrazione contro l’Italia già avviata e poi sospesa dall’ex Commissario Tajani. Dopo la comunicazione del parere motivato, se l’Italia Stato non si adegua la Commissione potrà adire la Corte di giustizia. La decisione sul se e quando avviare il ricorso davanti alla Corte rientra nella discrezionalità della Commissione che è libera di procedere subito, come pure di attendere o di non procedere affatto. La comunicazione rappresenta, in altri termini, l’ultimo tentativo di componimento della controversia in forma extragiudiziale per impedire che si giunga all’avvio di un procedimento giudiziario.
L’iniziativa della Commissione fa seguito alla pubblicazione il 28 giugno 2016 della Relazione sull’attuazione della Direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
La Commissione rileva, in generale, che in alcuni Stati membri (Italia, Grecia, Slovacchia e Spagna) possono essere necessari fino a 130 giorni (500 giorni in determinati settori) per i pagamenti delle amministrazioni. In alcuni casi, il diritto degli operatori economici ad essere pagati subisce ulteriori violazioni: i pagamenti, ad esempio, vengono subordinati a condizioni quali la rinuncia del creditore all’esazione di interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero. Le piccole e medie imprese (PMI), che non hanno la solidità finanziaria delle imprese di dimensioni maggiori, risultano più vulnerabili agli effetti dei ritardi di pagamento, specialmente nei periodi di recessione economica.
Tra i risultati più significativi riportati nella Relazione si segnala che i ritardi nei pagamenti continuano ad essere un problema rilevante per le imprese in tutta l’Unione. Per quattro imprese su cinque permangono ritardi dei pagamenti da quando la Direttiva è stata recepita per la prima volta dagli Stati membri. Emerge che per ogni giorno di riduzione dei ritardi di pagamento, le imprese europee risparmiano un importo stimato di 158 milioni di euro di costi di finanziamento (punto 7, della Relazione). La Direttiva è considerata dalle imprese strumento idoneo a combattere i ritardi di pagamento, ma servono anche misure correttive non vincolanti, più adatte a incidere aspetti che attengono la cultura imprenditoriale (punti 9 della Relazione).
Dalla Relazione, infine, si evince che, per quanto il periodo di pagamento medio nell’UE si stia riducendo lentamente, nel settore pubblico come in quello privato, in più della metà degli Stati gli enti pubblici non hanno ancora iniziato a rispettare il termine di 30 giorni.
La metà dei creditori, inoltre, non esercita il diritto di applicare interessi di mora e di chiedere il risarcimento dei costi di recupero, come previsto dalla Direttiva, per timore di danneggiare i rapporti commerciali. Molte PMI continuano ad accettare lunghi termini di pagamento imposti da società più grandi per lo stesso motivo (punto 2 e 3, della Relazione).
Emergono difficoltà da parte delle pubbliche amministrazioni in molti Stati a rispettare i termini imposti dalla Direttiva, anche a causa dell’ammontare complessivo dei debiti accumulati.
Sul tema dei ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali si segnala l’analisi pubblicata nel marzo 2017 dalla School of Management del Politecnico di Milano sulla diffusione in Italia della supply chain finance, vale a dire l’insieme delle soluzioni per il finanziamento del capitale circolante che fanno leva sul ruolo di un’impresa all’interno della filiera, oltre che sulle sue caratteristiche economiche, finanziarie o di business.
Dall’analisi emerge un mercato nazionale dominato da due soluzioni: l’anticipo fattura, vale a dire il finanziamento di quelle non ancora riscosse, che vale 87 miliardi di euro, e il factoring, ovverosia la cessione di crediti commerciali vantati da un’azienda verso i debitori, che vale 57 miliardi. In quest’ultimo ambito sale a 2,8 miliardi di euro la quota del reverse factoring, che permette ai fornitori di sfruttare il merito creditizio di un’azienda cliente per ottenere prezzi più bassi. Stentano a decollare, invece, soluzioni più innovative, come la carta di credito virtuale per la gestione semplificata dei pagamenti, l’ inventory finance, cioè il finanziamento delle scorte attraverso una linea di credito, o ancora l’ invoice auction, un’asta digitale per investire nelle fatture, e il dynamic discounting, pagamento anticipato a fronte di uno sconto proporzionale ai giorni di anticipo. Gli autori della ricerca avvertono che lo scenario è in rapida evoluzione, complice la diffusione di aziende che puntano sulla velocità dei processi digitalizzati per proporre altre soluzioni.
Da un altro recente studio (European Payment Report elaborato da Intrum Justita e pubblicato nel 2017) emerge come in Italia il ritardo nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni possa superare i quattro mesi (il dato è una media), contro gli 80 giorni di ritardo da parte dei clienti delle imprese operanti nel B2B e i 37 giorni per quelle attive nel B2C.
Lo studio è stato condotto su tutti gli Stati membri segmentando l’UE in quattro aree: NORD (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Lettonia, Estonia e Lituania), SUD (Spagna, Portogallo, Italia e Grecia), CENTRO (Inghilterra, Svizzera, olanda, Irlanda, Ungheria, Germania, Francia, Belgio e Austria) EST (Slovenia, Slovacchia, Serbia, Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Croazia, Bulgaria e Bosnia). Emerge come gli Stati dell’area SUD siano quelli con maggiori sofferenze per i ritardi nei pagamenti: più di 7 imprese su 10 (71 per cento) hanno avuto richieste di accettare pagamenti in tempi più lunghi di quanto possa per loro risultare sostenibile.