Il senso della rendicontazione sociale
Fiorella Farinelli
Il Regolamento del Servizio nazionale di valutazione – Snv prescrive che, a conclusione del ciclo di autovalutazione/miglioramento, gli istituti scolastici ne facciano una ‘rendicontazione sociale’, con “pubblicazione, diffusione dei risultati raggiunti, attraverso indicatori e dati comparabili, sia in una dimensione di trasparenza sia in una dimensione di condivisione e di promozione del miglioramento del servizio con la comunità di appartenenza”. Si può dedurne che sia prossimo il decollo di quella responsabilizzazione delle scuole rispetto alla comunità di riferimento che è detta ‘bilancio sociale’? Al momento non è certo, e comunque una connessione troppo linearmente sequenziale tra autovalutazione/miglioramento e rendicontazione sociale porterebbe con sé rischi di snaturamento, che occorre scongiurare, della nozione stessa e degli obiettivi del bilancio. Eppure il ritardo è così grande da consigliare di non perdere altro tempo. Ne va del senso stesso dell’autonomia scolastica, e del superamento della sua attuale condizione di incompiutezza.
Ma si sa che a viale Trastevere i tempi lunghi siano la regola. Un’autonomia scolastica, capace di farsi protagonista di politiche locali di partecipazione attiva della comunità all’istruzione e all’educazione come ‘bene comune’, non è tra le sue priorità. Una cosa è la retorica dell’autonomia, un’altra la sua concretizzazione effettiva.
Sostenere un’autonomia che si misuri programmaticamente con la pluralità degli interlocutori sociali e istituzionali a livello locale significherebbe contraddire o almeno indebolire l’idea che il suo vero/unico stakeholder resta pur sempre l’amministrazione centrale. Lo Stato prima e più che la Repubblica; l’ordinamento nazionale prima e indipendentemente
dagli specifici contesti di riferimento. Si tratta di un’idea non dichiarata ma diffusa nella burocrazia ministeriale e – spiace dirlo – anche in quella politica nazionale che alla scuola guarda prevalentemente a fini di consenso.
Le scuole sono appena uscite da una prima esperienza autovalutativa che non ha fugato del tutto le contrarietà iniziali (generandone invece di aggiuntive): è improbabile che in questa fase ci sia una tensione spontanea a imbarcarsi in imprese ad alto tasso di complessità. Di scadenze impegnative ce ne sono già troppe: il piano nazionale di formazione, l’alternanza scuola-lavoro, le innovazioni (e mode) didattiche via via caldeggiate, la necessità di non perdere il treno dei bandi e dei relativi finanziamenti sui tanti disparati progetti proposti. Occorre poi sopperire con un volontariato professionale (talora improvvisato
e incompetente) alla persistente assenza di un middle management fatto di funzioni/figure qualificate in grado di coordinare e supportare il lavoro di tutti (o almeno di quote di lavoro aggiuntivo dignitosamente retribuibile).