Rifiuti e sottoprodotti: la Corte di Giustizia chiarisce gli ambiti applicativi
Massimo Busà
Per ciò che concerne la nozione di rifiuto, certamente la formulazione elastica della definizione (di cui, nella normativa nazionale, all’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152/2006) può, in talune circostanze, rendere difficile per gli operatori riconoscere nell’immediato quando e se ci si trovi di fronte ad una sostanza/ materiale che ha già integrato gli elementi necessari (in primis il “disfarsi”) per identificare un rifiuto.
Ciò, del resto, discende inevitabilmente dall’oggettiva impossibilità, per il legislatore comunitario, di riuscire a codificare in maniera esaustiva tutte le ipotesi in cui si vengono a creare, nella pratica, le condizioni richieste per poter arrivare a qualificare un dato materiale/sostanza come qualcosa di cui disfarsi; in tale ottica, dunque, non resta altra strada che quella di esaminare il singolo caso specifico. Ma se ciò è certamente vero per il giudice nella fase “patologica” (ossia nel momento in cui deve essere accertato se la normativa rifiuti è stata violata), è altrettanto vero
che spetta agli operatori stessi – in ottica preventiva – essere consapevoli del proprio agire, valutando attentamente se determinate circostanze possono in effetti far rientrare una sostanza/materiale nel novero dei rifiuti.
Sotto questo punto di vista, la questione costituisce, in ultima analisi, un problema di tipo organizzativo, che impone agli operatori la creazione e l’attuazione dei necessari strumenti gestionali e di controllo che consentano di separare nettamente ciò che sicuramente (o con molta probabilità) diverrà rifiuto da ciò che, al contrario, resterà fuori dall’alveo applicativo degli obblighi stabiliti dalla normativa in materia. Ciò tanto più nel caso in cui l’operatore intenda considerare taluni residui di produzione quali sottoprodotti e non rifiuti, poiché in tale ipotesi, qualora chiamato a rispondere davanti al giudice per un’asserita violazio ne della norma, incomberà su di lui l’obbligo di dimostrare l’esistenza di tutti gli elementi integrativi del sottoprodotto (art. 184-bis, d.lgs. n. 152/2006), al ricorrere dei quali è appunto consentita la deroga alle più stringenti regole che disciplinano la gestione di rifiuti.
Nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. II, del 14 ottobre 2020, n. 629/19 tutto quanto sopra viene ripercorso e, come detto, nuovamente chiarito agli operatori in diversi passaggi di notevole interesse (si potrebbe dire, didattico) per ricordare che, se da un lato è in effetti impossibile “oggettivizzare” il concetto di rifiuto, dall’altro lato è altrettanto vero che una consapevole e corretta conoscenza della norma e delle conseguenti interpretazioni/applicazioni che ne fornisce la giurisprudenza può evitare (o quanto meno ridurre) il rischio di non accorgersi (o di sottostimare la possibilità) di essere in presenza di un rifiuto.