Ripensare l’ambiente di apprendimento
Elena Mosa
Il ripensamento degli ambienti scolastici non può prescindere da una riflessione profonda sul modello educativo.
Questo è l’insegnamento che ci hanno lasciato i padri fondatori dell’attivismo pedagogico; penso ad esempio a Freinet che avvertì la necessità di togliere la cattedra dalla predella (simbolo di gerarchia) per poi eliminarla del tutto, tratto distintivo di un maestro che si poneva al fianco degli studenti, che li accompagnava senza dirigere, di un modo di insegnare basato sul fare e
non unicamente sulla narrazione.
Ma penso anche al rilievo che Maria Montessori attribuì all’ambiente di apprendimento che doveva essere a misura di bambino, uno spazio che si adatta a chi lo vive, non il contrario. Il bambino è autonomo e sicuro nell’esplorazione del mondo che lo circonda che diventa esso stesso sia contesto che oggetto di apprendimento. Penso anche ai cento linguaggi di Malaguzzi,
così attento alla progettazione di ambienti idonei a farsi contesti di apprendimenti significativi, tali da dare cittadinanza a tutte le forme di pensiero e di espressione dei bambini.
Chiunque abbia messo lo studente al centro del processo di apprendimento si è prima o poi scontrato con la rigidità dell’aula organizzata con i banchi in file parallele, da Dewey a Rousseau fino a Cousinet e non solo, evidenziando come tratto comune il fatto che l’ambiente si fa portatore di significati ‘silenziosi’, diventa esso stesso un costrutto pedagogico, un abilitatore di senso.
In questo scenario si delinea un ulteriore compito del docente: quello di progettare gli spazi della didattica, allestire setting e configurazioni tali da favorire l’avvicendarsi di momenti didattici e attività diversificate: dai lavori in gruppo, piccolo o medio, individuali, in plenaria, a momenti di introspezione e personalizzazione.
È bene chiarire che non stiamo perpetuando una lotta contro la lezione frontale. La ricerca educativa fornisce un sostegno a questa tesi: un interessante lavoro di meta-analisi (Trinchero, 2013) ha infatti fornito una risposta autorevole alla domanda che fa tremare le pareti scolastiche: la lezione frontale è una strategia didattica superata? “No, ma ciò dipende dal come la si svolge. Non deve essere impostata come solo momento trasmissivo poiché risulterebbe inefficace. La lezione frontale risulta efficace quando è interattiva, strutturata con azioni volte a massimizzare l’efficacia del trasferimento d’informazioni e della costruzione di valide rappresentazioni mentali da parte degli studenti.