Il ruolo dei comuni nel reddito di cittadinanza
Samantha Palombo, Chiara Poli e Chiara Minicucci
Dopo un intenso dibattito a cui anche i Comuni hanno partecipato nell’ambito del serrato confronto che l’ANCI ha portato avanti con il Governo e il Parlamento, ha preso avvio il Reddito di cittadinanza, misura di contrasto alla povertà e di attivazione lavorativa a sostegno delle fasce più deboli della popolazione, che mira al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale del nucleo familiare.
Si tratta di una misura cui sono destinate risorse ingenti – assai superiori rispetto a quelle del REI – a regime 7 miliardi di euro e che amplia sia il beneficio economico, sia la platea dei beneficiari, stimabili in 5 milioni di individui, sebbene il numero delle domande accolte sinora faccia pensare ad un ridimensionamento di questa iniziale stima.
A partire da un impianto iniziale sbilanciato sul versante lavorativo e sul ruolo dei Centri per l’impiego, l’interlocuzione sia a livello politico sia tecnico tra ANCI e Ministero ha permesso di recuperare nell’architettura del Reddito di cittadinanza il ruolo centrale dei Comuni.
Ciò appare del tutto opportuno, considerando che la misura è rivolta a persone che presentano livelli di fragilità diversi e spesso complessi, che generalmente vanno oltre il semplice bisogno lavorativo, rimandando invece a situazioni ben più difficili, che riguardano le aree di intervento sui cui i Comuni operano. La condizione di povertà è infatti molto spesso caratterizzata da
molteplici vulnerabilità e bisogni (dal punto di vista dell’inclusione non solo lavorativa, ma anche sociale, sociosanitaria, scolastica, ecc.), ossia da una molteplicità di fattori che coesistono e che pertanto vanno affrontati secondo un approccio integrato di rete dei vari servizi territoriali. Ai Comuni, che per mandato istituzionale hanno consolidate competenze ed esperienza nella valutazione multidimensionale e nella presa in carico in rete con gli altri servizi territoriali, è affidata l’attivazione di percorsi di inclusione della parte più fragile della platea.
Accanto a ciò, nelle scelte organizzative è necessario tenere conto anche del diverso grado di strutturazione dei servizi e quindi della capacità di presa in carico. Da questo punto di vista, i Comuni, già da diversi anni, prima con il PON Inclusione e poi con le risorse del Fondo Povertà, hanno dato avvio ad un reale processo di rafforzamento dei servizi sociali, cosa non avvenuta invece nei Centri per l’Impiego che, in questi ultimi anni, sia a causa della mancanza di investimenti adeguati, sia del complesso passaggio di competenze dalle Province alle Regioni, versano in situazione di grande difficoltà e di carenza di personale, attrezzature e competenze. Questa situazione ha determinato difficoltà non marginali nella gestione del SIA/REI; premesso che l’auspicio è che il previsto e necessario potenziamento dei Centri per l’Impiego possa avvenire in tempi brevi per rispondere adeguatamente ai bisogni dei beneficiari e del mercato del lavoro, si ritiene che la scelta di non porre l’architrave organizzativa del Rdc solo su queste strutture sia stata una scelta saggia e funzionale al successo della misura.