Tra salma e cadavere: ma non erano la stessa cosa?
Graziano Pelizzaro
Le origini di una certa concezione del cadavere come elemento di potenziale rischio per la salute della collettività sono quasi certamente da farsi risalire alle idee illuministiche, quelle stesse che avevano portato alla creazione dei cimiteri distanti dall’abitato, prescrivendo distanze minime dallo stesso, come peraltro è ancora presente anche nelle attuali normative.
All’epoca, ovvero agli inizi del XIX secolo, questo orientamento prese forma con l’editto napoleonico di Saint Cloud, ma di fatto ha permeato il nostro ordinamento, con riflessi che traspirano parecchio nel nostro attuale ordinamento funerario.
Quale orientamento? Quello che considera il cadavere come un “oggetto” che può apportare rischi di contaminazione e diffusione di agenti patogeni e recare pregiudizio per la salute pubblica.
È pur vero che le attuali evidenze scientifiche hanno dimostrato che tutto questo rischio poi non c’è, ma se consideriamo che il Testo unico delle leggi sanitarie è del 1934 e che questo è il Testo unico che detta i princìpi ai quali si ispira tutta la materia funeraria, possiamo ben capire come le norme regolamentari (statali) contengano disposizioni che non potevano che adeguarvisi.
È il caso delle norme che consentono di trasferire la persona deceduta in luogo diverso da quello ove è avvenuto il decesso, per completare altrove il periodo di osservazione.
Il Regolamento di Polizia Mortuaria d.P.R. n. 285/1990 prevede che il cadavere possa essere “spostato” solo in casi limitati. E questo è perfettamente in linea con l’orientamento che vede il cadavere come elemento di rischio per la salute pubblica. Se tale è, meno si porta in giro, meno si rischia, per cui dove avviene il decesso, lì il cadavere deve di norma rimanere.
La disposizione, è vero, non è esplicita, ma la si ricava dall’esame di alcuni articolati:
– L’art. 12 così recita:
1. I Comuni devono disporre di un locale per ricevere e tenere in osservazione per il periodo prescritto le salme di persone:
a) morte in abitazioni inadatte e nelle quali sia pericoloso mantenerle per il prescritto periodo di osservazione;
b) morte in seguito a qualsiasi accidente nella pubblica via o in luogo pubblico.
Se solo per queste due categorie di deceduti è consentito il trasferimento, ciò vuol dire che in tutti gli altri casi il cadavere non deve essere rimosso dal luogo ove è avvenuto il decesso.
Il medesimo concetto è ribadito, indirettamente, dal successivo art. 13:
1. I Comuni devono disporre di un obitorio per l’assolvimento delle seguenti funzioni obitoriali:
a) mantenimento in osservazione e riscontro diagnostico dei cadaveri di persone decedute senza assistenza medica;
b) deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell’autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico-legali, riconoscimento e trattamento igienico-conservativo;
c) deposito, riscontro diagnostico o autopsia giudiziaria o trattamento igienico conservativo di cadaveri portatori di radioattività.
Alcune Regioni, in applicazione dell’articolo 117 della Costituzione, hanno dato il via ad un processo di innovazione mirato a rimuovere in parte questo orientamento, creando però qualche nuova e diversa complicazione.