SCIA edilizia e strumenti di autotutela
Massimiliano Spagnuolo
La DIA (oggi SCIA edilizia) alternativa al permesso di costruire (la cui disciplina è dettata dall’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 – c.d. Testo Unico dell’Edilizia) è un istituto i cui effetti sono destinati ad esplicarsi esclusivamente sul piano urbanistico/edilizio, consentendo la realizzazione degli interventi una volta decorsi trenta giorni dalla presentazione, al competente comune, di una segnalazione corredata dalla documentazione all’uopo prescritta, senza che sia necessario il rilascio, da parte dell’amministrazione comunale, di apposito titolo edilizio autorizzatorio.
Sull’istituto notevole è stato il dibattito dogmatico e pretorio in ordine alla sua natura ed ai caratteri che lo connotano.
In particolare. la Corte costituzionale ha affrontato la questione di legittimità costituzionale del comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a.
Nulla prevede la disposizione circa il termine entro cui va avanzata la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.
Ebbene, la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale poste, ha chiarito che il comma 6-ter – introdotto nel 2011 – dell’art. 19 della legge n. 241/1990 è conforme a Costituzione. Tale comma ha escluso l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) a fronte dei solleciti degli interessati in presenza di DIA/SCIA presentate da terzi e ha quindi limitato le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento.
La Corte ha inoltre chiarito che il termine entro cui gli interessati possono produrre osservazioni sollecitando interventi dell’amministrazione – senza il quale si avrebbe un potere temporalmente illimitato e in bianco, in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità – è correlato alle verifiche cui è chiamata l’amministrazione ex art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni (questi ultimi per i casi di SCIA edilizia) decorrenti dalla data di presentazione della SCIA (3), e poi entro i successivi diciotto mesi.
Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo.
Segnatamente, la Corte ha ricordato che il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla p.a. un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990.
Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela di atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di dodici mesi.
Il comma 6-bis dell’art. 19 consente di applicare questa disciplina anche alla SCIA edilizia, prevedendo che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali. La Corte ha inoltre sottolineato che è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.
La sentenza n. 45/2019 ha riconosciuto che possa comunque sussistere un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo, che ciò trascenda la norma impugnata e che esso vada affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo. Si è quindi soffermata sui rimedi a tutela dell’interesse legittimo del terzo, per annotare conclusivamente che tutto ciò non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.