Scrivere le leggi con il cuore. Dal Ponte Morandi alle alluvioni di novembre
Antonio Vespignani
L’estate italiana è stata purtroppo segnata da una tragedia immane, tale non solo per l’elevato numero di vittime, né per l’incalcolabile danno economico che ne è derivato, ma anche per l’impatto emotivo che scaturisce quando crolla rovinosamente e improvvisamente uno dei luoghi-simbolo di una città, nella specie il viadotto sul Polcevera – o Ponte Morandi – per Genova.
Dal 14 agosto, data del crollo, al momento in cui si scrive (vale a dire all’indomani dell’approvazione in Parlamento della legge di conversione del cd. d.L. “Genova”), si è assistito innanzitutto ad un acceso (e scomposto) dibattito politico sull’istituto della concessione. Si badi, non soltanto sulla concessione che aveva per oggetto (anche) il viadotto crollato, non soltanto le concessioni autostradali, ma sull’istituto della concessione in quanto tale, ivi comprese le concessioni di acque minerali.
L’eccezionalità dell’evento, la gravità delle sue conseguenze, la paralisi di una città dal punto di vista economico richiedevano una risposta eccezionale sia in termini di stanziamento di risorse, sia in termini di soluzioni per far fronte alle numerose emergenze da quella abitativa a quella viaria a quella economica, sia, infine, in termini di procedure per la rimozione delle macerie, per la demolizione di quanto resta del ponte Morandi e per la progettazione e costruzione di un nuovo viadotto.
La risposta è il d.l. 28 settembre 2018, n. 109, un provvedimento che il responsabile del Dicastero delle infrastrutture ha definito “scritto con il cuore”, per significare che la spinta emotiva nascente dalla disgrazia ha guidato la penna degli estensori del decreto.
La verità è che il c.d. decreto Genova reca sì disposizioni urgenti per la città di Genova, ma – come emerge dal titolo – anche per la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, per gli eventi sismici del 2016 e 2017, e infine per il lavoro e le altre emergenze.
Già il titolo rivela infatti con chiarezza che quello che doveva essere un provvedimento di assoluta urgenza per fronteggiare la tragica situazione verificatasi dopo il crollo del “Ponte Morandi”, di fatto è diventato un decreto omnibus, nel quale convivono disposizioni relative a ben altre tematiche, alcune delle quali (condono per Ischia in primis) alquanto controverse, come testimoniato dalla accesa discussione parlamentare sviluppatasi in occasione della conversione in legge del decreto. Alla fine, a ben guardare, a Genova sono dedicati solo 11 dei 46 articoli di cui si compone il provvedimento.
Ma al di là degli aspetti normativi, sui quali ci si soffermerà più avanti, a distanza di alcuni mesi dal tragico evento genovese, è possibile formulare a mente fredda alcune considerazioni che, pur prendendo spunto da questa tragedia, hanno comunque carattere generale.
Non pare opportuno entrare nel merito di un disastro costato la vita a 43 persone: sta alla magistratura far luce sull’effettivo svolgimento dei fatti, sulle cause e sulle relative responsabilità. Tuttavia questo evento ha fatto tornare di drammatica attualità le problematiche connesse alla necessità di manutenzione, non solo di ponti e viadotti ma dell’intero (patrimonio infrastrutturale del) Paese.
È un dato di fatto che in Italia non esiste una cultura della manutenzione. Della manutenzione ci si ricorda, con tragica regolarità, solo all’indomani delle disgrazie che con sempre maggiore frequenza ci colpiscono, sia che si tratti del crollo di manufatti risalenti nel tempo e (come nel caso di Genova) sottoposti a carichi impensabili all’epoca in cui furono progettati e realizzati, sia che si tratti di calamità legate alla mancata prevenzione dal rischio sismico o da quello idrogeologico (gli eventi del novembre scorso ne sono l’ultima, dolorosa dimostrazione).
Ma la manutenzione non è un’optional, bensì un’autentica necessità, oltre che un preciso dovere. È miope e irresponsabile pensare di poter “risparmiare”, di “tagliare” sulla manutenzione, senza rendersi conto che quelle sono risorse indispensabili per la conservazione e l’ammodernamento delle opere, per garantirne efficienza, durata nel tempo, fruibilità, sicurezza. E oltretutto sono fondi ben spesi, perché ogni euro investito in manutenzione determina un risparmio sulle future spese per far fronte a usure, deterioramenti o peggio.
Eppure questa evidente verità stenta a far breccia nei decisori pubblici ad ogni livello e una delle ragioni di questa insensibilità e indifferenza è probabilmente da ravvisarsi nel fatto che la manutenzione non porta voti, non crea consenso, lontana com’è dai riflettori e dal taglio dei nastri. Per questo fa sorridere (molto amaramente) la grande corsa scatenatasi all’indomani dei fatti di Genova che ha visto tutte le nostre amministrazioni, grandi e piccole, impegnate a verificare con solerzia mai vista lo stato dei ponti rientranti nella propria competenza e responsabilità.
Né ha senso la sterile diatriba che tende a contrapporre manutenzione e nuove opere, come se i due termini fossero antitetici e incompatibili. Nuove opere e manutenzione delle opere esistenti possono viaggiare di pari passo: le prime accompagnate sin dall’inizio da un piano di manutenzione che ne assicuri efficienza e durata nel tempo, le seconde sottoposte a periodici interventi di adeguamento e di aggiornamento della funzionalità e della sicurezza.
Del resto proprio l’Italia sembra il luogo ideale per dimostrare la validità di questo abbinamento. Da un lato, il Paese sconta un notevole gap infrastrutturale nei confronti dagli altri paesi europei più sviluppati: di qui il bisogno di nuove opere (utili); dall’altro, il nostro patrimonio di infrastrutture è in buona parte risalente negli anni, spesso obsoleto e non sottoposto a costante revisione e manutenzione, e pertanto vulnerabile dal punto di vista sismico, del degrado ambientale, ecc.
Quanto poi alle polemiche sulle responsabilità del crollo, sull’istituto della concessione (se ne parlava in apertura…), e al conseguente dibattito in ordine ad una possibile ritorno in mano statale di quanto forma oggetto di concessione, anche qui è bene considerare la questione a mente fredda, con razionalità e senza pregiudizi.
Le concessioni sono contratti che si caratterizzano per il trasferimento al concessionario di funzioni di natura pubblicistica, mantenendo in capo al soggetto pubblico concedente penetranti poteri di indirizzo e soprattutto di controllo, a garanzia dell’interesse pubblico. È chiaro che se questi poteri di vigilanza non vengono esercitati o vengono esercitati in maniera blanda o impropria, il rapporto contrattuale diventa squilibrato e nascono disfunzioni e storture. Né deve creare scandalo che il concessionario sia adeguatamente remunerato; è uno scandalo se a fronte di tale remunerazione il concessionario risulta inadempiente ai propri obblighi e se il controllore non esercita la vigilanza necessaria a rilevare e eliminare l’inadempimento stesso. Tanto più quando da tale inadempimento può dipendere la sicurezza o la vita delle persone.
Quindi è fuori luogo generalizzare: la concessione (e la gestione dei privati) non è un istituto da demonizzare e tanto meno da abolire, così come la nazionalizzazione non è di per sé la soluzione di ogni male.
Allora, fermo restando il principio che “chi sbaglia paga”, la profonda riflessione che va fatta non riguarda l’istituto della concessione in quanto tale, bensì il modo in cui lo stesso viene concretamente declinato. A volte non si tratta nemmeno di rivedere i contratti di concessione in essere, ma semplicemente di dare puntuale applicazione a quello che in essi è previsto, senza gli sconti e gli asservimenti che a volte è stato dato di vedere.
Per affrontare temi di così grande importanza per il Paese occorrono una visione e un approccio più pragmatici e meno emotivi ed ideologici. Se così non sarà e se si continuerà a “ragionare con la pancia” invece che con la testa, forse dal punto di vista elettorale si otterrà qualche risultato, ma di certo dalla tragedia di Genova non si sarà imparato nulla.
Nell’esame della produzione normativa più recente, occorre dare adeguata rilevanza al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Il provvedimento, più noto come “decreto sicurezza” o “decreto Salvini”, contiene alcune importanti disposizioni che afferiscono (in maniera più o meno diretta) alla contrattualistica pubblica.
Nel testo originario vi è anzitutto una deroga alle procedure di gara ordinarie fissate dal Codice dei contratti. L’art. 2 prevede infatti che, al fine di assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione dei centri di permanenza per il rimpatrio, per un periodo non superiore a tre anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, e per lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, è autorizzato il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara di cui all’art. 63 del d.lgs. n. 50. Nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione, l’invito contenente l’indicazione dei criteri di aggiudicazione è rivolto ad almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei.
Nell’ambito del Titolo II, rubricato “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa” figura l’art. 25 (“Sanzioni in materia di subappalti illeciti”) che – modificando l’art. 21 della l. n. 646/1982 – prevede un forte inasprimento del trattamento sanzionatorio per il subappalto non autorizzato. In particolare, il reato viene trasformato da contravvenzione in delitto, punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in subappalto.
La norma perpetua il discutibile inquadramento delle norme sul subappalto nell’ambito della prevenzione dell’attività della malavita organizzata e non considera minimamente il mutato cambiamento di contesto. Oggi l’ulteriore compressione della possibilità di subappaltare (30% riferito all’importo contrattuale e non a quello della sola categoria prevalente) spesso obbliga le imprese che non dispongono al proprio interno delle competenze specialistiche a cercare altri sistemi per raggiungere il legittimo scopo di affidare a terzi le prestazioni che non sono in grado di eseguire direttamente: fornitura e posa, distacco, ecc. Il confine tra queste ipotesi e il subappalto non autorizzato è alquanto sottile e spesso rimesso alla discrezionalità e alla valutazione di chi non necessariamente è un esperto della materia.
Il successivo art. 26 (“Monitoraggio dei cantieri”) modifica l’art. 99 del d.lgs. n. 81/2008 includendo il prefetto tra i destinatari della notifica preliminare che il committente (o responsabile dei lavori), pubblico o privato, deve già inviare all’ASL e alla direzione provinciale del lavoro, dell’inizio dei lavori in alcuni cantieri temporanei o mobili.
Vengono inoltre apportate importanti modifiche alle disposizioni concernenti la gestione dei beni confiscati e sequestrati alla mafia. In particolare, a modifica del comma 6 dell’art. 38 del Codice delle leggi antimafia (d.lgs. n. 159/2011) viene ampliato il novero dei soggetti cui è riconosciuta la prelazione all’acquisto, ricomprendendovi, oltre agli enti territoriali: le cooperative edilizie costituite da personale delle Forze armate o delle Forze di polizia; gli enti pubblici aventi, tra le altre finalità istituzionali, anche quella dell’investimento nel settore immobiliare; le associazioni di categoria che assicurano, nello specifico progetto, maggiori garanzie e utilità per il perseguimento dell’interesse pubblico; le fondazioni bancarie.
Alcune norme di interesse per la partecipazione alle gare pubbliche sono contenute nel d.l. 23 ottobre 2018, n.119, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 147 dello stesso giorno ed in vigore dal 24 ottobre.
Tra i principali contenuti del provvedimento figura l’attuazione della “pace fiscale” tra Erario e contribuenti (“condono”, secondo opposizioni e detrattori).
All’interno di tale disegno figura (art. 3) la c.d. rottamazione-ter, vale a dire una nuova definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017.
Al pari delle precedenti, la nuova definizione consente di abbattere le sanzioni e gli interessi, con possibilità di pagare il dovuto in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 ovvero in 10 rate consecutive di pari importo, nell’arco di 5 anni (in tal caso, saranno dovuti interessi al tasso pari al 2%).
Ai sensi del comma 12, lett. c) dello stesso art. 3, il pagamento potrà avvenire anche utilizzando in compensazione i crediti “commerciali” vantati dalle imprese nei confronti della p.a.: si tratta dei crediti non prescritti, certi liquidi ed esigibili derivanti da somministrazioni, forniture, appalti e servizi, anche professionali, vantati nei confronti della p.a.
L’adesione alla definizione agevolata comporta, tra l’altro, la “regolarità fiscale” ai fini dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Infatti, ai sensi del comma 10, lett. f) del d.l. n. 119, a seguito della presentazione della dichiarazione, relativamente ai carichi definibili che ne costituiscono oggetto: il debitore non è considerato inadempiente ai fini di cui all’48-bis del d.P.R. n. 602/1973.
Del c.d. decreto Genova – d.l. 28 settembre 2018, n. 109 – in parte già si è detto in precedenza.
Nel merito delle misure per il capoluogo ligure – alle quali è dedicato il Capo I – all’art. 1 viene disposta la nomina di un Commissario straordinario per Genova al fine di garantire, in via d’urgenza:
- da un lato le attività per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta;
- dall’altro, le attività per la progettazione, l’affidamento e la ricostruzione dell’infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario.
Il Commissario straordinario rimane in carica dodici mesi, con possibilità di proroga o rinnovo per non oltre un triennio dalla prima nomina.
Ai sensi del comma 5 dell’art. 1, per lo svolgimento delle attività sopracitate il Commissario straordinario opera in deroga ad ogni disposizione di legge extrapenale, fatto salvo il rispetto dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
Con riferimento ai rapporti tra Commissario e concessionario autostradale del tratto autostradale alla data dell’evento, si prevede (comma 6) che il concessionario – “in quanto responsabile del mantenimento in assoluta sicurezza e funzionalità dell’infrastruttura concessa ovvero in quanto responsabile dell’evento” – è tenuto a far fronte alle spese di ricostruzione dell’infrastruttura e di ripristino del connesso sistema viario. A tale riguardo, esso deve provvedere al versamento sulla contabilità speciale intestata al Commissario, entro 30 giorni dalla richiesta del Commissario stesso, dell’importo necessario al predetto ripristino e alle altre attività connesse, come provvisoriamente determinato dal Commissario medesimo, salvo conguagli. In caso di omesso versamento nel termine, il Commissario straordinario può procedere all’individuazione, di un soggetto pubblico o privato che anticipi le somme necessarie all’integrale realizzazione delle opere, a fronte della cessione pro solvendo della pertinente quota dei crediti dello Stato nei confronti di Autostrade S.p.A.
In ogni caso per evitare che l’ipotesi di omesso o ritardato versamento da parte del concessionario provochi rallentamenti nell’avvio delle attività, il decreto contiene l’autorizzazione di spesa per 30 milioni di euro l’anno per il 2018 e il 2019, a garanzia dell’immediata attivazione del meccanismo di anticipazione.
Ancora l’art. 1, al comma 7, dispone che il Commissario straordinario affidi, ex art. 32 della direttiva 2014/24/UE, la realizzazione delle attività concernenti il ripristino del sistema viario, nonché quelle propedeutiche e connesse, ad uno o più operatori economici che non abbiano alcuna partecipazione, diretta o indiretta, in società concessionarie di strade a pedaggio, ovvero siano da queste ultime controllate o, comunque, ad esse collegate. Una previsione immotivatamente restrittiva che nella discussione parlamentare in corso mentre si scrive è stata corretta, precisando che l’affidamento è rivolto ad uno o più operatori economici diversi dal concessionario del tratto autostradale alla data dell’evento e da società o da soggetti da quest’ultimo controllati o, comunque, ad esso collegati, e non già ai soggetti diversi da tutte le società concessionarie di strade a pedaggio.
Dal punto di vista processuale, si prevede (art. 10) che tutte le controversie relative agli atti adottati dal Commissario straordinario di cui all’articolo 1, nonché ai conseguenti apporti giuridici anteriori al momento di stipula dei contratti che derivano da detti atti, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ai relativi giudizi si applica l’art. 125 c.p.a.
L’Anac, licenziando le Linee guida n. 12, sull’affidamento dei servizi legali, approvate dal Consiglio con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018, ha risposto alle numerose richieste di chiarimento pervenute sulla materia, così come disciplinata dal d.lgs. n. 50/2018.
Come noto, l’art. 17, comma 1, lett. d), del Codice prevede che le disposizioni del Codice medesimo non si applicano agli appalti e concessioni concernenti una serie di servizi legali puntualmente individuati. Del pari, l’Allegato IX menziona i “Servizi legali, nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’articolo 17, comma 1, lett. d)”, ciò che lascia intendere che vi sono tipologie di servizi legali soggette alla disciplina codicistica. L’Anac ha quindi ritenuto di intervenire per fornire alle stazioni appaltanti utili indicazioni in merito alla corretta individuazione delle tipologie di servizi rientranti nell’esonero di cui all’art. 17 e di quelle che invece rientrano nell’Allegato IX, nonché in merito alle modalità di affidamento di tali servizi.
Con particolare riferimento ai servizi legali esclusi dall’applicazione del Codice ex art. 17, comma 2, lett. d), l’Autorità – sposando in toto l’impostazione espressa dal Consiglio di Stato nel parere 3 agosto 2018, n. 2017 – ritine decisiva la circostanza che l’incarico venga affidato per un’esigenza puntuale ed episodica della stazione appaltante: in tal caso infatti ricorrono gli estremi non già del contratto di appalto di servizi, bensì del contratto d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e ss. del codice civile.
Ancorché esclusi dall’applicazione del Codice, anche i servizi legali di cui all’art. 17, comma 1, lett. d), sono soggetti all’art. 4 del Codice a norma del quale l’affidamento dei relativi contratti avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.
Fatti salvi gli ultimi due principi, che evidentemente mal si conciliano con prestazioni di natura intellettuale, l’Autorità si sofferma nella puntuale declinazione dei predetti principi informatori degli affidamenti dei contratti “esclusi” con specifico riferimento ai servizi legali.
L’Autorità suggerisce alle stazioni appaltanti di dotarsi di elenchi di professionisti, da costituirsi mediante procedura trasparente e aperta, e pubblicati sul proprio sito istituzionale. Tale best practice consente infatti di restringere il confronto concorrenziale al momento dell’affidamento, favorendo la speditezza dell’azione amministrativa. A tal fine l’amministrazione dovrà pubblicare sul proprio sito istituzionale un avviso finalizzato a sollecitare le manifestazioni di interesse all’inserimento nell’elenco. Si procederà quindi all’inserimento nell’elenco degli interessati dotati dei requisiti richiesti e analizzati sulla base di curricula o da schede riepilogative della carriera professionale. Interessante è il passaggio in cui l’Autorità ammette la possibilità che l’elenco sia ristretto e limitato ai professionisti che soddisfano al meglio le esigenze dell’amministrazione, naturalmente sulla base di criteri di ragionevolezza, proporzionalità e non discriminazione. La selezione dall’elenco degli operatori qualificati tra cui svolgere la valutazione comparativa avviene sulla base di criteri non discriminatori, che tengano conto: a) dell’esperienza e della competenza nella materia oggetto del contenzioso ovvero nella questione rilevante per la sua soluzione; b) della pregressa proficua collaborazione con la stessa stazione appaltante in relazione alla medesima questione; c) del costo del servizio, nel caso in cui, per l’affidamento di uno specifico incarico, sia possibile riscontrare una sostanziale equivalenza tra diversi profili professionali. La stazione appaltante motiva la scelta del professionista inserito nell’elenco, esplicitando con chiarezza le ragioni sottese alla scelta.
Quanto all’affidamento diretto ad un determinato professionista, esso viene ritenuto ammissibile ma solo laddove sussistano specifiche ragioni logico-motivazionali da indicarsi nella determina a contrarre. Le ipotesi considerate dalle linee guida sono quelle della assoluta particolarità della controversia o della consulenza ovvero il caso di consequenzialità tra incarichi (come in occasione dei diversi gradi di giudizio) o di complementarietà con altri incarichi attinenti alla medesima materia e positivamente conclusi.
Per quanto riguarda i servizi legali di cui all’Allegato IX del Codice, vi rientrano tutti i servizi non esclusi ex art. 17, comma 1, lett. d). I relativi affidamenti costituiscono appalti di servizi. Vi rientrano a titolo esemplificativo le consulenze non legate ad una specifica lite o (come nel caso di contenzioso seriale affidato in gestione al fornitore) le prestazioni che i fornitori realizzano in modo continuativo o periodico e che essi erogano organizzando i mezzi necessari e assumendo il rischio economico dell’esecuzione.
I servizi legali in questione, se il relativo importo non supera le soglie di rilevanza comunitaria, vanno affidati in conformità alle previsioni delle Linee guida Anac n. 4, relative alle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici.
Le linee guida opportunamente dedicano ampio spazio al tema dei requisiti di idoneità professionale nonché di capacità tecnica e professionale.
Per i primi, la stazione appaltante dovrà verificare l’iscrizione in albi o elenchi se prescritta dalla legge per l’espletamento del servizio legale oggetto di affidamento. Per la capacità tecnica e professionale, da individuare in relazione all’oggetto e all’importo dell’affidamento, le stazioni appaltanti potranno richiedere l’attestazione di esperienze maturate nello specifico settore oggetto dell’incarico. In ordine alla capacità economico-finanziaria potranno essere richiesti livelli minimi di fatturato globale, comunque proporzionati al valore dell’affidamento.
I requisiti rappresentati dall’esecuzione di servizi analoghi e dal possesso di un determinato fatturato sono riferiti, in caso di professionista singolo, alla persona fisica; in caso di associazioni di professionisti o di società tra avvocati, ai professionisti indicati quali esecutori delle prestazioni contrattuali.
Interessanti sono le indicazioni in ordine al criterio di aggiudicazione. A tale riguardo, malgrado la possibilità di utilizzare il criterio del minor prezzo per i contratti di valore inferiore a 40.000 euro, data la natura dei servizi in questione e l’importanza degli interessi coinvolti, le linee guida suggeriscono, anche per gli affidamenti di minor valore, l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo. Tale criterio infatti consente di selezionare il contraente attraverso una serie di criteri e sub-criteri in grado di valorizzare la qualità del professionista, sulla base di credenziali di esperienza e di competenza.
Quali criteri di valutazione delle offerte l’Autorità individua: a) professionalità e competenza desunte, ad esempio, dal numero e dalla rilevanza dei servizi svolti dal concorrente affini a quelli oggetto dell’affidamento; b) caratteristiche metodologiche dell’offerta desunte dal progetto globale dei servizi offerti e dall’illustrazione delle modalità di svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico; c) titoli accademici o professionali attinenti alla materia oggetto del servizio legale da affidare; d) ribasso percentuale indicato nell’offerta economica.
Proprio con riferimento all’offerta economica, l’Autorità conclude ricordando il rispetto del limite massimo del 30% per il punteggio economico fissato all’art. 95, comma 10-bis, del Codice.