Le facili illusioni del miglioramento
Mario Castoldi
La cultura del miglioramento
A partire dal 2013 si è progressivamente e faticosamente messo a regime anche nel nostro Paese un sistema nazionale di valutazione delle scuole, basato su un processo autovalutativo, in alcuni casi integrato da un’osservazione esterna, su cui strutturare un piano di miglioramento in prospettiva triennale, che innervi e vitalizzi il Ptof. Una domanda non peregrina, a sette anni di distanza dallo start normativo, è la seguente: si è sviluppata e consolidata nella scuola una cultura del miglioramento continuo? La risposta è: poco o niente. Cerchiamo di argomentare queste affermazioni, facendo riferimento, soprattutto, alla struttura logica e metodologica sottesa a un processo di miglioramento continuo.
Il punto è che non si può imporre la cultura del miglioramento per decreto! Si rischia di cadere in quello che Watzlawich ha definito ‘doppio legame’ : uno scarto tra il piano del contenuto, ovvero ciò che si dice (“Devi migliorare!”), e il piano della relazione, ovvero come lo si dice (“Ti impongo io, amministrazione scolastica, di migliorare”). Il miglioramento presuppone un’attivazione del soggetto e una presa in carico del suo futuro, non può essere imposto da qualcun altro! Da qui un’apparenza di cambiamento, attraverso le dichiarazioni di intenti e lo story-telling burocratico-progettuale, dietro i quali spesso non c’è nessuna dinamica reale di innovazione organizzativa: “Sotto il vestito niente”, recitava il titolo di un film di qualche tempo fa. Al di là delle letture socio-organizzative dell’amministrazione pubblica italiana, e delle evidenti debolezze connesse al sistema di autonomia della nostra scuola, vorremmo in questo contributo focalizzarci sulle criticità dell’impianto metodologico previsto dal Sistema nazionale di valutazione – Snv per promuovere il miglioramento delle scuole.