Tolleranze costruttive in edilizia: una guida pratica
Claudio Belcari
La legge n. 120/2020, c.d. “Semplificazioni”, ridefinisce l’inquadramento giuridico dell’istituto delle tolleranze costruttive in edilizia, stabilendone un concetto più chiaro, ampio, dettagliato e coerente, determinando conseguentemente semplificazioni amministrative, snellimenti burocratici e minori oneri a carico di cittadini e imprese.
Le novità introdotte dalla legge n. 120/2020 in materia di tolleranze costruttive in edilizia
La l. n. 120/2020, all’art. 10, comma 1, lett. o), abroga l’art. 34, comma 2-ter, del d.P.R. 380 ed alla
lettera p) introduce l’art. 34-bis avente ad oggetto: “Tolleranze Costruttive”. Si riporta di seguito tale normativa in stato sovrapposto dove la parte di nuovo inserimento è in corsivo e la parte eliminata è in corsivo barrato: “Art. 134 – comma 2-ter. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”.
“Art. 34-bis (Tolleranze costruttive). – 1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.
2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.
3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.”
Il tema delle tolleranze costruttive in edilizia non è nuovo nella materia urbanistico-edilizia in quanto connaturato in maniera
fisiologica alla natura intrinseca della costruzione e della misura ed è stato da sempre riconosciuto ed applicato dagli operatori del settore secondo criteri di “buon senso”, che però in passato non erano omogenei su tutto il territorio nazionale.
Notoriamente, la tolleranza fu introdotta per la prima volta nel panorama legislativo dalla legge n. 106 del 2011, c.d. “sviluppo” che inserì la norma di principio statale, il comma 2-ter dell’art. 134 (oggi abrogato dalla legge n. 120/2020), tuttavia in maniera molto marginale ed in forma del tutto secondaria, una specie di sottocategoria delle “parziali difformità”. Infatti, il legislatore all’interno di un articolo preesistente avente ad oggetto gli “Interventi eseguiti in parziale difformità”, aggiunse un comma 2-ter, dove non inserì espressamente il nuovo concetto di “tolleranza”, ma si limitò ad affermare che quelle “violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure progettuali”, non determinano “parziale difformità dal permesso di costruire”.
Tale enunciazione normativa lasciava aperta la conseguente legittima domanda, ovvero se per la legittimazione di tali scostamenti dimensionali contenuti entro il limite percentuale del 2 per cento, definiti con il termine giuridico “di violazioni”, pur non costituendo presupposto di “parziale difformità”, fosse comunque necessario conseguire un accertamento di conformità o, in caso di impossibilità, diversamente applicare una procedura sanzionatoria. Non attraverso l’interpretazione
della norma secondo il criterio “letterale” previsto dall’art. 12 delle preleggi, bensì attraverso quelli ratio legis e teleologico, si conveniva che tali difformità dimensionali contenute nel 2 per cento, pur costituendo “violazioni”, rappresentavano implicitamente una tolleranza e non era richiesta una procedura di regolarizzazione. Pertanto, all’epoca il concetto di tolleranza
non trovava una chiara enunciazione normativa e non aveva quindi una significativa e dignitosa rappresentazione giuridica, bensì si evinceva in forma interpretativa indiretta.