Il welfare visto dall’Australia
Federico Marcon
Vivo a Melbourne in Australia da 5 anni, dopo una lunga carriera presso organismi internazionali (Nazioni Unite e Commissione europea) e un passaggio di qualche anno in Italia dove dirigevo una organizzazione non governativa (ONG) facente parte di una delle maggiori istituzioni non profit del nostro Paese. Dal mio arrivo in Australia nel 2014, ho lavorato per alcune importanti
ONG internazionali (Plan International, World Vision ed attualmente WaterAid), per la Croce Rossa australiana (occupandomi sia dei programmi in Australia, sia di quelli nei Paesi in via di sviluppo) e per il maggior provider di servizi per persone disabili nel Paese (Yooralla); anche grazie a queste esperienze mi è possibile proporre alcune considerazioni su come l’Australia pianifica, gestisce e finanzia il proprio sistema e programmi di welfare e sul lavoro nelle organizzazioni non profit, provando poi a proporre paralleli e confronti con quanto ho conosciuto in Italia.
In generale va tenuto conto che l’Australia ha un approccio assai più “capitalistico” e privatistico alla gestione del lavoro e in generale della vita, cosa che emerge sia nei servizi di welfare che in altre aree e più in generale alla gestione delle organizzazioni; nondimeno, ha messo in atto alcuni dispositivi che integrano il mercato del welfare con elementi di intervento pubblico che cercano di realizzare – in buona parte riuscendoci – un equilibrio tra pubblico e privato.
Si consideri ad esempio la copertura medica; l’Australia è lontana dal sistema privatizzato statunitense: i cittadini sono coperti da un’assicurazione sanitaria pubblica chiamata Medicare, che garantisce la gratuità, nella maggior parte dei casi, della visita medica presso il General Practitioner (GP), equivalente al nostro medico di medicina generale. Qualora il GP dovesse ritenere di indirizzare il paziente verso uno specialista per un ulteriore approfondimento, a questo punto il servizio diventa a pagamento per una quota parte della tariffa (l’altra parte viene rimborsata da Medicare e può variare dal 40 al 60% dell’importo totale, in media). Il GP funge pertanto da primo filtro e risulta impossibile per un cittadino accedere a una visita specialistica senza una “prescrizione” (referral) del GP. La maggior parte dei cittadini australiani possiede anche un’assicurazione medica privata che viene utilizzata primariamente per coprire le spese di ricoveri ospedalieri e servizi medici “collaterali” – come vengono definiti – quali dentista, fisioterapista ecc.
Un altro esempio è costituito dai servizi per l’infanzia (asilo nido, pre e post-scuola, campi estivi), che in Australia sono molto cari. In questo caso le persone sotto una certa soglia di reddito (che è piuttosto elevata e quindi garantisce lo sconto a una larga fetta della popolazione) hanno diritto a ciò che viene chiamato il child rebate, ossia uno sconto – pari solitamente al 50% – che viene coperto dalle finanze pubbliche, rendendo quindi maggiormente accessibili tali servizi alle famiglie.
Di questo equilibrio tra elementi privatistici e welfare pubblico la popolazione è estremamente gelosa. Ricordo ancora gli infiniti dibattiti quando l’attuale governo liberale propose di far pagare interamente la tariffa per la visita medica presso il GP ai cittadini, cosa che provocò una sollevazione popolare senza precedenti a difesa della gratuità di tale servizio.